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Ballata per un amico semplice

  1. #1
    FdT-dipendente
    Uomo 68 anni
    Iscrizione: 30/5/2005
    Messaggi: 1,014
    Piaciuto: 1 volte

    Predefinito Ballata per un amico semplice


    Perché mi torni in mente in questi giorni,
    quegli occhi malinconici, un po’ tristi
    di giovane che troppi ne ha già visti
    momenti senza luce, disadorni?

    Tuo padre, muratore ed emigrante
    Tua madre, donna delle pulizie
    La nonna t’ha cresciuto, un po’ le zie,
    te che dicono bimbo esuberante.

    Godevi libertà da fare invidia;
    selvaggio, eri un monello senza freni,
    lasciato a scorrazzare su terreni
    affascinanti per la loro insidia.

    Ti persi poi di vista nelle brume
    che attenuano i colori dei tramonti.
    I giorni, i mesi, gli anni … persi i conti
    Di te rimase in me solo un barlume.

    Sereni e senza scosse furon gli anni
    che dieder fondamenta al mio edificio
    Qua e là un qualche fuoco d’artificio
    però senza l’assillo degli affanni.

    Poi vennero quei primi anni Ottanta,
    tardiva e amara presa di coscienza
    che ormài nella tossìcodipendénza
    di gente tua n’era finita tanta.

    E fu in quel gruppo di volontariato
    che un giorno udii il tuo nome – pure mio.
    Che shock al primo incontro, santodio:
    m’apparve un curvo giovane invecchiato.

    Facevi, mando a dirlo, il muratore,
    con moglie, figlio e affitto da pagare,
    con l’eroina a farti da compare,
    tagliata con la gioia e col dolore.

    Noi s’era volontari senza scienza,
    di buona volontà e di tanta rabbia
    per quegli amici chiusi in una gabbia
    d’equivoca e fatale consistenza.

    Sbattevo io la testa contro il muro
    perché non mi riusciva di capire
    che cosa li spingeva ad inserire
    quell’ago trasformato in un siluro.

    Saltavan fuori allora quelle storie
    di padri sublimati nell’assenza,
    presenti in esplosioni di violenza
    che i figli intossicavano di scorie.

    I tuoi non eran certo manigoldi
    ma tu sempre la nonna nominavi.
    E non di rado là ti rifugiavi:
    due fette di salame e un po’ di soldi.

    Ricordo quando c’hai invitato a casa:
    c’hai messo lì bottiglie da affogarci;
    e poco ci mancò dall’ubriacarci,
    in orbita più ancora della NASA.

    Avevi il cuore in mano e l’umiltà
    di chi non ha gli orpelli del sapere.
    cercavi nell’ebbrezza del bicchiere
    conforto ai sensi di inferiorità.

    Ci son volute ancora due o tre sbronze
    per far saltare un po’ di resistenze,
    comprese le mie assurde supponenze
    un poco perbenistiche, un po’ stronze.

    Poi venne il giorno della decisione:
    un anno e mezzo di comunità,
    di lotta dura per la dignità,
    di studio e di matura riflessione.

    Tu che quasi ignoravi la scrittura,
    mostravi con orgoglio i tuoi quaderni,
    gonfiati dal disgelo degli inverni
    alimentati dalla tua paura.

    Tornasti pieno d’umiltà orgogliosa
    Tu padre, tu marito,
    tu … te stesso.
    Andavi fiero di quel tuo successo,
    eri frizzante come una gazzosa.

    Ma la tua Parca mai s’era fermata
    nel tesserti la trama del destino.
    E’ come una partita a nascondino:
    tu allo scoperto, lei sempre celata.

    Il fegato comincia a darti noia,
    sei stanco, pesa fare il muratore.
    Riprende l’altalena dell’umore;
    ti abbatti, sembri andare incontro al boia.



    La vita non mantiene le promesse
    e come una lattina ti accartoccia.
    Cos’è che spezza e infrange la tua roccia?
    E’ lei, la nuova peste: l’AIDS.

    Ti succhia ogni vigore, ti consuma;
    la voce di un vecchietto centenario,
    lo sguardo vaga sempre nel precario,
    è come sangue che non si raggruma.

    E finalmente arriva anche la morte,
    a liberarti, mossa a compassione.
    Non riesco a mandar giù la delusione.
    Singhiozzo: come faccio ad esser forte?

    Ricordo il giorno del tuo funerale:
    scappai di chiesa, il fiato mi mancava.
    Un canto dai credenti si levava
    straziante di speranza surreale.

    Vent’anni son passati, poco meno,
    chissà chi si ricorda la tua faccia.
    La giacca sulla spalla, una bisaccia.
    Malinconia di un cielo mai sereno.

  2. #2
    obo
    .
    35 anni
    Iscrizione: 23/9/2005
    Messaggi: 35,505
    Piaciuto: 122 volte

    Predefinito

    malinconica...
    però è scritta bene

  3. #3
    Dio Il Lupo
    38 anni
    Iscrizione: 15/5/2006
    Messaggi: 7,232
    Piaciuto: 93 volte

    Predefinito

    bella, maliconica, già...

  4. #4
    FdT Star Chloe
    Donna
    Iscrizione: 24/12/2006
    Messaggi: 22,810
    Piaciuto: 11 volte

    Predefinito

    Quote Originariamente inviata da Il lupo
    bella, maliconica, già...

  5. #5
    Telephone Blues nali
    Donna 34 anni
    Iscrizione: 1/11/2005
    Messaggi: 13,273
    Piaciuto: 509 volte

    Predefinito

    Malinconia di un cielo mai sereno.



    E' triste, ma bellissima.


  6. #6
    FdT-dipendente
    Uomo 68 anni
    Iscrizione: 30/5/2005
    Messaggi: 1,014
    Piaciuto: 1 volte

    Predefinito

    sì, è malinconica, triste. Ma è una parte della vita, che è così. Purtroppo, quel mio amico ha vissuto quasi solo quella componente della vita.
    Vi ringrazio di tutto cuore per aver letto - prima ancora che apprezzato - un testo tanto lungo e poco entustasmante

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