E' un racconto che ho scritto e lo invierò al concorso nazionale Campiello Giovani. Vi avverto che non è un raccontino di amore tra adolescenti, capisco che possa risultare pesante. Grazie anticipatamente per letture e commenti vari
Dicono che il tempo sia l'unica cosa che l'uomo non possa fermare. Il tempo, così come lo spazio, sono sempre stati considerati nient'altro che semplici cornici del nostro mondo; noi parallelamente siamo sempre stati giudicati schiavi del tempo. Io non ci avevo mai creduto. Fin in giovine età, dopo diversi anni di studio, giunsi alla conclusione che così è solo fintanto che decidiamo che schiavi noi siamo e così restiamo, inerti, aspettando la nostra ora e capii che queste catene possono essere spezzate: noi siamo nientemeno che i protagonisti della nostra storia; tutto sembra stato creato affinché si possa vivere come in un gioco: tutto si trova a nostra disposizione e tutto può essere contro di noi. Le nostre scelte, le nostre azioni, le nostre parole, sono tutte frutto di qualcosa che è avvenuto per noi e conseguenza di qualcosa che è fatto da noi anche se talvolta non si capisce bene fin dove arrivi la propria volontà a mutare gli eventi e dove inizi la fatalità che ci guida inconsapevolmente. Ma non è giusto parlare di NOI: ho sempre ritenuto più opportuno parlare di "me" e di "te". Per me tutto questo non è mai stato altro che il resoconto della mia storia e del mio gioco, tu, o chiunque stia leggendo codeste righe, non è che un burattino di secondo piano in una macchina molto più complessa con un unico grande ingranaggio a farla funzionare: io, appunto. Così, come era sempre stato assurdo per me pensare che esistano altri ad avere prospettive come la mia, a poter realmente sentire emozioni, ad avere davvero un'"anima" -nel senso lato del termine- che li guida e li distacchi dal resto degli esseri esistenti tanto che hanno un'autocoscienza parallela ad una coscienza della realtà circostante, mi fu ben presto facile pensare che il tempo, ovvero qualcosa contemporaneamente dentro e fuori di me, parte centrale e al contempo distante dell'unica storia esistente -la mia- fosse governabile.
Per quanto riguarda lo spazio, quando iniziai i miei studi sul tempo non mi curai di programmare studi focalizzati su di esso; il mio primario obbiettivo ben presto divenne quello di sconfiggere la morte. Ero cosciente che un'infinita schiera di grandi uomini ci avevano fallacemente provato: solo il diario che tiene conto di tutti gli uomini esistiti sulla Terra sa quanti poveri alchimisti hanno tentato di trovare il siero di lunga vita, quanti innumerabili sciamani hanno tentato di combattere l'inevitabile mietitore. Così come il numeri di quanti tentarono l'impresa resta nascosto alla mia mente, è d'altro canto evidente come essi sempre sbagliarono l'approccio alla questione: non bisogna difatti considerare la morte un ente tale che bisogna sconfiggere al pari di un avversario in una partita di scacchi; semplicemente bisogna considerare la morte in maniera diversa da un qualcosa che ci prende e ci porta via. La morte è solo un passaggio del nostro viaggio; anzi è l'ultimo dei passaggi per quanto ne so -non mi metto a parlare delle varie teorie fideistiche di una vita oltre la morte perché uscirei dal seminato. Per sconfiggere la morte -se l'espressione vi è cara- basta semplicemente evitarla. Non mi ci volle dunque molto prima di considerare che per fermare la morte andava fatta un'operazione analoga al tirare con vigore le redini di alcuni cavalli al galoppo verso un precipizio fermandoli prima che i loro zoccoli possano oltrepassare scioccamente il limite terrestre e sfidare la gravità.
In conclusione capii che per divenire immortale mi era dunque necessario poter controllare il tempo. Come prima cosa cercai di analizzare la definizione più generica del tempo ovvero quella che lo definisce come ciò che determina un prima-dopo. Se tutto ciò che esiste nel mio mondo fosse un qualcosa di immutabile non avrebbe senso parlare di tempo, invece le mutazioni -o cambiamenti- avvengono ad altissime frequenze e questo determina lo scorrere del tempo. Questo era per me in parte vero ed in parte era pure ciò che l'uomo ha sempre creduto ma a lungo credetti che tramite la scienza potessi finalmente riuscire ad estrarre il tempo da questa sua dimensione di semplice unità di misura del cambiamento e potessi davvero ridefinirlo come ente esistente e compenetrante della mia esistenza ponendolo ad un livello ontologicamente pari a quello di qualsiasi altro ente scientificamente elaborabile così da poterne prendere totale controllo e rivoluzionare il modo di concepire la scienza e contemporaneamente donare il mio corpo del dono dell'immortalità. Finalmente avrei dato una grande svolta nel destino dell'umanità anche se l'idea di umanità mi ha sempre fatto ridere: non mi è mai importato dei molti uomini che mi hanno preceduto o di quelli che vivono durante il mio tempo né tanto meno di quelli che verranno dopo di me: la mia vita è l'unica realmente importante, io sono al centro del mondo, lo ripeto nuovamente.
E' d'obbligo però anche dire che purtroppo molto di quanto studiai per questa mia missione gnoseologica ma al contempo rivoluzionariamente empirica non lo appresi da solo ma ebbi bisogno di un personaggio secondario che qualche mente divina ben pensò di porre, come un albero in mezzo ad un verde prato, in mezzo alla mia vita e, miei cari, contro quell'albero io ci andai a sbattere con forza ed esso cambiò la mia vita. Questo albero fu il mio grande maestro, il dr. Linarius. Costui fu un grande professore di scienze naturali in varie università del continente ma, stanco delle solite teorie da quattro soldi che il resto degli scienziati -se così si possono chiamare- gli propinavano e delle varie accuse di pazzia che dovette sopportare nei propri confronti, egli cercò rifugio altrove, dove le sue idee potessero meglio essere approfondite, magari accanto a menti che potessero meglio incontrarsi con le sue teorie. Egli arrivò in paese qualche anno fa, a bordo di un raro modello di autovettura, rumoroso ed altamente inquinante. Non so come ci abbia raggiunto, né so realmente da dove provenga; lui non parla del suo passato e tutto questo non fa altro che contribuire all'alimentazione della mia idea: un mondo esterno al mio non esiste, se io non lo conosco esso non esiste affatto. Questa mia idea deve certamente molto alla dottrina del "esse est percipi" di quel gran filosofo che fu l'irlandese George Berkeley. Se qualcosa non rientra nella mia vita, non esiste; se un albero cade e nessuno lo sente, non fa rumore. Ragionando sul concetto di un mondo esterno al mio giunsi ad un'ennesima conclusione: non ha senso parlare di interno-esterno. Dopotutto dove comincia l'interno e dove l'esterno? Parimenti, dove inizia il microscopico e dove il macroscopico? Cos'è piccolo? Cosa grande? Sicuramente tutto è relativo, ma penso che nessuno si sorprenda troppo quando parliamo di fisica microscopica -atomica- e fisica macroscopica essendo i modelli di riferimento siano considerevolmente diversi. Tutto ciò che per noi è scienza, conclusi, non è nient'altro che pura invenzione che gli uomini creano per dare una struttura ben precisa al loro mondo. Tale struttura resta in piedi fintanto che non arriva qualcosa che la faccia crollare e a quel punto gli uomini provvedono rapidamente a crearne un'altra, pronti a sostituirla nuovamente nel caso anche questa riporti nel tempo imperfezioni che li costringano a ricominciare dall'inizio il lavoro di costruzione. Già Hegel fece notare che un concetto che può sembrarci come qualcosa di inoppugnabile, ovvero il concetto di Natura, non è affatto datoci in concessione secondo una verità assoluta ed anzi, esso muta continuamente con il passare delle epoche e degli uomini: Talete infatti ne aveva un'idea, Aristotele un'altra, antiche popolazione del Sudamerica un'altra ancora, qualche decennio fa in altre parti del mondo ancora altre e così via: tutti si costruirono consapevolmente o meno una struttura che sostenga ed articoli il mondo circostante così da poterlo spiegare fino dove è loro possibile -non bisogna dimenticare che l'uomo ha sempre vissuto con dubbi e problematichea cui non riesce a trovare una risposta sufficientemente esauriente-. In sintesi: ognuno vive nel suo mondo ed il proprio mondo sarà sicuramente sorretto dalla struttura all'individuo più adatta; è dunque inutile cercare di capire quale struttura sia la più giusta per tutti cercando di inculcarla nelle menti altri: ognuno deve capire prima la propria e solo allora può iniziare a cercare di comprendere a fondo il proprio mondo.
Tutte queste difficili teorie mi furono indottrinate in buona parte dal dr. Linarius di cui or ora mi accingo a parlare più dettagliatamente: egli era un uomo piuttosto basso dal collo taurino e dal fisico ben piazzato, non andava oltre la cinquantina anche se i suoi abbigliamenti e il suo taglio di capelli lo invecchiavano davvero molto e la sua parlata era rapida, precisa ed estremamente affabulatoria. Quando lo conobbi mi divertii subito della sua compagnia: uomo educato, fine ed altamente intelligente. Le sue idee mi colpirono immediatamente come una freccia scoccata dai più possenti archi; il suo parlare di tempo relativo, di conquista del tempo e della quasi totale negazione della scienza come era fino ad allora conosciuta mi colpirono non tanto per l'originalità, quanto perché anche diverse mie teorie combaciavano in parte con le sue. Non avevo mai incontrato una persona simile e mai credo ne incontrerò un'altra; il primario dei miei personaggio secondari. Forse la prova tangibile che un dio esiste e si è divertito a giocare con me. Non che io mi sia mai da parte mia divertito, anzi, mi ha sempre infastidito pensare di vivere nel ruolo di burattino. Essendo io il centro di tutto non riesco affatto a sopportare un'idea simile.
Sebbene egli fu per me un grande maestro, ciò non significa che io non ebbi niente da insegnarli.
Una delle mie teorie al quale lo introdussi non è che la di teoria della relatività applicata ai miei studi sul tempo: esso non è sempre uguale dappertutto, non è un essere che incornicia il mondo ma effettivamente incornicia il mio mondo. Se esistessero altri mondi allora essi sarebbero a loro volta incorniciati da altre prospettive: più sistemi fisici, più concezioni spazio-temporali diverse. Era dunque possibile riuscire nel mio intento che tanto colpì il gran luminare, ovvero divenire finalmente immortale tramite la scienza del tempo. Ero arrivato alla conclusione che non bisognasse combattere contro il tristo mietitore ma dovevo semplicemente aggirare la visione di tempo, sfruttarne la mobilità e la relatività, anticipare l'avvento del mio avversario con un colpo di reni ed impedire quindi che il mio corpo andasse incontro all'ultima frontiera, il decesso. Non dovevo sradicare con forza le colonne di Ercole del mondo intellegibile come avevano sempre fatto numerosi altri uomini ma dovevo invece compiere dei calcoli sul tempo trattandolo nella prospettiva di qualcosa di più controllabile e che a tutti gli effetti, essendo calcolabile, rientrava nell'ambito delle operazioni che avrei potuto compiere con le mie stesse mani per sovvertirlo ai miei voleri. Un'ipotesi affascinante che il dr. Linarius mi espose per filo e per segno nella mia casa poche settimane dopo il suo arrivo. Quando mi espose le sue gloriose idee posso dire con tutta onestà che rimasi letteralmente senza fiato. Ricordo bene che quando se ne fu andato dalla mia abitazione mi ritirai meditabondo e come la mia mente fu subito assalita dai demoni dei dubbi più cupi e profondi. Iniziai a chiedermi infatti chi fosse a tutti gli effetti il dr. Linarius. Non intendo l'uomo in sé per sé ma chi a lungo mi chiesi che ruolo egli avesse all'interno del mio mondo. Se io ero davvero il protagonista e sebbene le varie teorie relativistiche erano ormai al centro dei miei schemi mentali non riuscivo a non uscire dalla prospettiva monoprotagonistica del mio universo e considerare quindi il dr. Linarius come qualcuno che parallelamente ha vissuto e casualmente mi ha incontrato e mi ha accresciuto culturalmente e spiritualmente. Mi dispiace, è un mio limite. La domanda che posi non ha tuttora trovato risposta...chi era egli? Era forse qualcuno inviato da una mente più alta? Oppure io non ero davvero l'unico protagonista?
Giuro che questo dilemma mi dilaniò a lungo durante alcune notti in cui non potevo far altro che restare sveglio; sconvolto e senza risposta mi alzavo e vagavo per la casa con una penna ed un foglio, ad annotare le mie intuizioni riguardo al dilemma. Tanto inchiostro venne utilizzato, altrettanti fogli stracciati. Se tutto ruotava infatti attorno a me, perché mai avrei dovuto avere bisogno di un altro personaggio che mi aiutasse a comprendere queste dottrine filosofico-scientifiche che in parte già covavo nel mio animo? Che avessi veramente sbagliato nel considerarmi unico protagonista dell'universo? Seppure in molti mi direbbero che a lungo peccai di estrema -estremissima- superbia, ero davvero convinto che questa posizione fosse inattaccabile. Che qualche ente superiore mi avesse dunque voluto rimettere sulla retta via vedendomi sbagliare? Sebbene l'arrivo del dr. Linarius tramite un'apparizione piuttosto misteriosa potesse portare alla mente una soluzione simile, pseudo-religiosa e forse anche un poco bigotta, tutt'oggi non penso che essa sia credibile anche se non escludo tale possibilità. Che il dr. Linarius non fosse altro che una prova per mettermi sulla cattiva strada allora? Una prova per verificare la mia fermezza d'animo e la mia intelligenza? Beh, anche qui la credibilità è latente. Però esiste. Sapete, io non ho mai dato troppa importanza alla religione ma ho sempre visto soltanto me e di me io mi sono sempre stato unicamente interessato. Non mi sono mai preoccupato troppo di pensare se in cielo qualcuno mi avesse creato ma solo adesso iniziavo a dar vita a possibilità sulla sua esistenza. L'entrata in scena di questo strano personaggio mi aveva sconvolto a tal punto che il mio mondo si stava capovolgendo. Una tempesta si scatenò letteralmente nel mio cervello, un uragano nel mio petto. Una volta, distrutto da tale pensiero rivelai all'uomo i miei dubbi. "Caro professore" mi disse "Io non sono altro che un uomo. Non mi faccia passare per un qualcosa legato al mondo divino, se così fosse lo saprei. Non le sto mentendo, ma so che la sua rigidità filosofica non rende questa mia affermazione sicura di dubbi dalla sua mente, dico bene?" Annuii. "Perfetto" rispose "Sto iniziando a capirla, mio esimio collega. Per quanto le risulterà assurdo, anche per me lei non è che tutto questo, un personaggio secondario che forse mi sta mettendo alla prova. Non so lei, collega, ma sono diverse le notti in cui non riesco a prender sonno ed inizio a sentire i sintomi dello stress, tormentato come sono dall'aver incontrato un personaggio del suo calibro che da quando ho conosciuto mi ha messo più di una pulce nell'orecchio. Non so più a cosa pensare, la notte mi alzo e sono a pezzi ma non riesco a dormire, dilaniato dai dubbi, devastato dalle perplessità, reso pazzo dalle domande senza risposta".
E fu allora che mi crollò ancor di più il mondo addosso. Tutto non aveva più senso: ormai tutto ciò in cui avevo sempre creduto iniziava a vacillare pericolosamente non perché propriamente avesse perso di senso, semplicemente perché avrei dovuto -lo sentivo dal più profondo del mio cuore- riguardare i miei punti, riconsiderare le mie idee, i miei obbiettivi; inutile dire che la sconfitta della morte mi risultava ormai qualcosa di lontano ed impossibile, non avendo più fondamenta per proseguire lo studio delle mie teorie. Sentivo che ero arrivato veramente alle colonne d'Ercole, capii che le mie domande probabilmente non avrebbero mai trovato risposta e, probabilmente a causa dello stress, non sentivo più le forze per intraprendere un nuovo viaggio alla ricerca delle scoperte. "Forse è meglio che non ci vediamo per un po'" concluse il dr. Linarius con lo sguardo piuttosto severo e con gli occhi vitrei. Annuii nuovamente, in silenzio. La mia gola si era prosciugata, come il mio animo. Sentivo il gran bisogno di dormire, nascondere tutto questo in un sogno e ripensarci una volta sveglio, lucido e di nuovo me stesso. Quando ci lasciammo tornai alla mia abitazione, a quanto so, lui alla sua. Più pensavo e più i miei dubbi accrescevano. Probabilmente sia io che il dr. Linarius avremmo posto fine alle nostre sofferenze semplicemente limitandoci a pensare che i nostri e diversi mondi erano in qualche intersecabili, che entrambi provavamo la stessa sensazione di unicità, che entrambi eravamo fari equivalenti in un mare infinito ed infinitamente illuminato. Né io né lui prendemmo in considerazione questa idea inizialmente, sarebbe stato credere a qualcosa di assurdo e che avrebbe reso tutta questa situazione ancor più tragica. Anche quella stessa notte, tormentato dai dilemmi, non riuscii a chiudere occhio ed il mio corpo stanco iniziava pesantemente a risentirne.
Finalmente poi, una sera, finalmente i miei occhi riuscirono a chiudersi ed i pensieri a fuggire e la stanchezza sopraffece il mio corpo e ricordo che mi svegliai diverse ore dopo, assieme al Sole nascente oltre i colli osservabili dalla finestrucola della mia stanza con il corpo madido di un sudore pregno di sentimenti dopo aver vissuto i più controversi incubi che riuscirono a pizzicare le corde più acute della mia anima anche nel sonno e che mi portarono sulla soglia della disperazione. Tutto era stato così vero, così profondo e vigoroso da sembrare parte della realtà anche se non ricordavo molto di quanto avevo sognato nemmeno nei momenti immediatamente successivi al momento in cui aprii gli occhi. Di quella notte non ricordo quasi niente, ma nessuno mi farà mai scordare la pesante sensazione di agonia pari a quella che di un animale in trappola che provai tra le coperte quando mi svegliai. Avevo il respiro affannoso ed il fiato corto e -non mi vergogno ad ammetterlo- piansi come un bambino cercando di liberarmi da tutta questa opprimente agonia.
Ai mille dubbi quella mattina si aggiunsero dubbi ancora più profondi. Iniziai a chiedermi cosa fosse la realtà, dove iniziasse il sogno e dove la realtà, cosa fosse più vero, le emozioni del sonno o quelle della realtà e se avesse davvero senso chiedersi cosa sia più vero e cosa no. Se la questione non mi avesse già portato sull'orlo dell'esasperazione avrei già iniziato a domandarmi cosa volesse dire “esser vero”. Qualcuno potrebbe obiettarmi che a quel punto avrei potuto iniziare a chiedermi cosa volesse dire "voler dire" continuando all'infinito in una spirale di domande alla quale è impossibile rispondere; ebbene io allora come oggi non saprei che cosa rispondere ad una simile critica. Ormai tutto ciò in cui avevo sempre creduto, le più vivide basi della mia realtà erano terribilmente crollate, distrutte, perse per sempre.
Mi alzai di malavoglia, svilito. I piedi a contatto con il freddo pavimento diedero vita ad un brivido gelido che mi risvegliò improvvisamente. Sapevo bene cosa avrei fatto quel giorno: sarei andato dal dr. Linarius. Restare in casa a dilaniarmi non mi avrebbe certo giovato, pensai. Nel frattempo non potevo pensare che l'esimio collega si trovasse in una situazione migliore della mia; con la testa ricolma di dubbi scesi in strada per recarmi da lui.
E in quel momento, sull'uscita della mia abitazione, accadde un fenomeno che ha dello straordinario e dell'inverosimile. Parallelamente a quanto dice Dante nella Divina Commedia, canto I, Paradiso “vidi cose che ridire né sa né può chi di là discende”, io mi ritrovai all'improvviso in un luogo tale che la mia mente fu così sconvolta che ricordo solo pochi tratti inintellegibili di cui posso fare accenni. E' come se di fronte a me, sull'uscio, fosse apparso un enorme bagliore che mi avesse avvolto ed annebbiato i sensi e distorto la realtà. Il cuore mi batté in petto mille volte più velocemente di quanto mai mi era accaduto nella mia vita, poi più forte e più forte ed ancora più forte. Un dolore intenso mi bruciava il petto e gli arti, nella testa pulsavano con potenza vene ed arterie. Come ho già detto non ricordo molto di quello che avvenne in quel momento. La memoria è vacua in quei momenti che non saprei giudicare se fossero stati lunghi o brevi. La sensazione che rimembro nitidamente di aver provato fu quella di una realtà schiacciante che mi si avventò pesantemente addosso e che mi entrò in corpo tentando di rendermi un tutt'uno con sé stessa, unendo me con quel bagliore, con quello stesso istante. Che le parole siano un vincolo per esprimere sentimenti e sensazioni non l'ho scoperto di certo io né tanto meno lo sto facendo adesso cercando in qualche disperata maniera di farvi anche solo lontanamente capire ciò che vorrei esprimere; fatto sta che ora più che mai mi rendo conto dei limiti che il verbo porta con sé. Per tagliar corto il lettore sappia semplicemente che l'esperienza trascendentale con cui mi ero scontrato non ho tutt'ora realmente capito quale manifestazione del mondo fosse, di certo mi lasciò in uno stato confusionale e mi devastò l'animo. Più volte provai a darmi una spiegazione, provando a pensare che fosse qualcosa legato alla stanchezza della mia mente che mi aveva giocato qualche brutto scherzo ma, anche se questa potrebbe essere l'ipotesi più realistica, tutt'ora non so darmi spiegazione. Non solo il mondo teorico nel quale avevo sempre creduto era crollato, scosso da un terremoto di enormi proporzioni, ma adesso anche tutto ciò che mi circondava iniziava a prendere risvolti inquietanti ed al limite dell'assurdo. Quando ripresi conoscenza non vedevo che buio attorno a me. Alzai la testa a fatica ma non scorsi nient'altro che una fitta coltre d'oscurità impenetrabile. Provai a lanciare un grido alla ricerca di qualcuno, invano: la mia gola era troppo secca per emettere qualsiasi suono. Quando tornai alla realtà ero disteso per terra e dietro di me scorsi l'uscio della mia dimora, ancora semi-aperto. Attorno a me nemmeno un'anima viva.
Mi rialzai dalla fredda strada sulla quale ero riverso e mi rialzai stancamente; a tentoni proseguii il mio cammino verso la casa del dr. Linarius. Quando arrivai bussai forte alla porta di legno e dall'esterno potei sentire nitidamente i passi lenti, stanchi e trascinati di chi, stanco a causa probabilmente del poco sonno, stava venendo debolmente ad aprirmi. Quando effettivamente mi si presentò sull'uscio notai come la mia ipotesi si rivelasse estremamente corretta: sul volto dell'esimio luminare ampie rughe lo stavano trasformando in una creatura dall'aspetto stanco e sfinito; grandi occhiaie ornavano le sue palpebre. "Di nuovo tu?" mi chiese stancamente "Non dirmi che non te lo aspettavi" gli risposi seccamente. "Ormai non so più cosa aspettarmi" disse con tono mesto. "Ti capisco, mio caro. Siamo molto simili io e te e sono sicuro che posso capire ciò cosa provi" fu la mia risposta. Egli mi fulminò con lo sguardo lasciandomi impietrito ed in silenzio "Capisco” concluse “Oramai anche tu sei stato messo in ginocchio dalla possibilità che io e te esistiamo entrambi come entità autonome non è vero?"Ammetto che la mia risposta poteva lasciar adito di teorizzare tale idea. Il problema è che non sapevo nemmeno io cosa stessi pensando. Tutto ciò che mi uscì dalla gola fu uno stranito "Non so" al quale l'esimio collega rispose con un dolce sorriso e mi invitò con un gesto ad entrare. Mi sedetti su una comoda poltrona in salotto, di fronte a me il caminetto con qualche braciere. "Non credo ci sia molto da dirci io e te" esordì lo scienziato prendendomi alla sprovvista "Sappi che il solo parlarti è per me fonte di enorme dolore, considerare la tua esistenza mi spezza il cuore e mi ferisce l'anima. Pertanto, mio caro, ho preso la drastica decisione di andarmene da questo posto, andarmene in silenzio e sparire dallo stesso nulla dal quale sono giunto. Quello che per te è il nulla e per me è il mio mondo, quello che per te non esiste e per me sì; sempre nel caso in cui abbia realmente un senso parlare di “me” e di “te”. Non credo che sia comunque necessario aprire altre parentesi né alimentari dubbi che ci stanno da tempo lacerando. In conclusione ho deciso di fuggire, come il più vile dei soldati, come il più vigliacco dei disertori: esatto, hai capito bene, sono un verme della scienza ed ammetto di aver trovato qualcosa di troppo enorme per me e decido di fuggire a gambe levate come il peggiore dei filosofi nichilisti che tanto ho sempre odiato. Non posso che issare bandiera bianca, mio caro, e ti consiglierei di fare altrimenti se per me avesse un senso farlo. Oramai sono alla soglia dell'anzianità, e quando alla mia età il mondo ti si capovolge definitivamente, quando i chiodi che ti fissavano ad una realtà della quale ti sentivi padrone e sovrano arrugginiscono e cadono lasciandoti in preda dell'incolmabile vuoto nel quale cadi inerme, ebbene allora capisci che forse è finita. Sebbene sia stato felice di passare molto momenti con te, collega, sebbene le tue idee di rivincita della morte abbiano alimentato grandi speranze nel mio animo, ho ben ponderato l'idea che non voglio più sentir parlare di te, anche se sarà impossibile, lo so, estirpare qualche idea legata alla tua persona e a questa disavventura dalla mia stanca mente. E' impossibile lo so, ma non trovo altra alternativa che arrendermi e gettare definitivamente la spugna, la scienza ha perso una volta per tutte. Tutta la mia vita ha perso senso, se mai ne ha avuto uno". Sebbene condividessi e mi aspettassi tali parole devo ammettere che esse mi annientarono definitivamente. Mi sentii sparire il fiato in gola e le corde vocali si intorpidirono tanto da farmi sembrare il più silenzioso degli uomini. Il dottor Linarius mi guardò appena, forse scorsi una lacrima nei suoi occhi -non ne sono così sicuro-, quindi si voltò in direzione del camino, le braccia conserte dietro la schiena ed il mento alto a fissare la parete in mattoni. "Hai ragione" dissi semplicemente. Si voltò e mi guardò con tenerezza mista a perplessità. "Tutto qua?" In effetti capisco che si aspettasse risposte di più ampio respiro. "Sì" mi uscì dalla bocca con un soffio di voce "Ti chiedo solo di lasciarmi riposare mente e corpo ancora per qualche minuto, non ho le forze di alzarmi" dissi infine. Annuì tacitamente, poi prese posto su una poltrona di fronte alla mia, appoggiò la testa sulle grandi mani ed i gomiti sulle ginocchia; lo sguardo fisso su di me che ricambiavo stancamente. Restammo non so dire quando tempo seduti in quella maniera in una situazione al limite del paradossale con entrambi che ci chiedevamo se l'altro esistesse o meno, se la realtà esistesse o meno, se il vero ed il reale, il razionale e l'irrazionale esistessero o meno e se un senso a tutto questo esistesse o meno.
Vi chiederete come è andato a finire quell'episodio e dove mi trovi io in questo momento e in che situazione adesso io viva. Non so dirlo con precisione, non riesco ad analizzare troppo bene il mio presente; so solo di non sapere tante, troppe cose ed ormai mi sono abbandonato al pensiero che magari è giusto così. Ho riflettuto a lungo su tanti punti importanti su questioni che ho affrontato dall'incontro con il dottor Linarius e la mia mente è ancora avvolta di una fitta nebbia o forse è la mia mente stessa ad esser fatta di nebbia. Non saprei di preciso, so solo che è da un bel po' di tempo che il dottor Linarius è tornato nel nulla dal quale era apparso e di lui non ho più avuto notizie. Ormai vivo giorno dopo giorno apprezzando il presente e disdegnando il mio passato così pieno di deboli convinzioni puntando ad un futuro migliore ed attendendo con implacabile timore il trapasso inevitabile. Di tanto in tanto rileggo i miei vecchi appunti e con nostalgia ripenso ad un lungo periodo della mia vita in cui ero davvero convinto di avere trovato un senso alla mia vita e di avere tutto nelle mie mani, un periodo della mia vita in cui ero davvero felice. Ora non riesco davvero ad essere troppo sereno e il mio unico sfogo è questo diario che un tempo avrei considerato qualcosa di assurdo. Lo ammetto, ormai in cuor mio sento di essere giunto alla conclusione di essere divenuto pazzo perché per me ormai tutto non ha più senso e forse essere pazzi è proprio sintetizzabile in questo, vivere in un mondo in cui niente ha un senso. Il rendersene conto è forse però parte integrante della sanità. Forse sì, forse no, molti pazzi dicono di sapere di esserlo forse perché ne sono stati convinti da altri. Ma basta adesso con questi dubbi, l'unica mia certezza è quella che vivrò fino alla fine dei miei giorni come un uomo spiritualmente in movimento, alla ricerca, senza mai essere sazio di alcuna dottrina e forse riuscirò a dare una risposta a qualcuno dei miei infiniti dubbi. Sicuramente cercando risposte a vecchi dubbi se ne creeranno di nuovi seguiti da nuove crisi, ma ormai questo non mi spaventa più: cercherò e mai smetterò, salterò continuamente fino a raggiungere il cielo con un dito e combatterò le più feroci battaglie fino a che una freccia gettata da chissà quale essere mi lacererà il petto e mi farà cadere aldilà di quella che definiamo vita e mi farà attraversare una porta dalla quale nessuno è mai tornato e allora chissà, forse solo allora troverò qualche risposta ed il mio animo sarà finalmente quieto.