Originariamente inviata da
Lucien
Secondo me per scrivere per la pubblicazione si deve risolvere un paradosso: che si deve scrivere solo per piacere, senza pensare al "libro" che dovrà uscire fuori. Senza pensarci affatto: si deve scrivere dicendosi che, tanto, non verrà pubblicato mai. Bisogna essere sinceri e fedeli a sé stessi: pensando al lettore, ne verrà fuori qualcosa di mediato e quindi meno interessante.
Poi, restando nell'ambito di ciò che ci appartiene spontaneamente, bisogna continuare a sperimentare e sperimentarsi, per trovare i mezzi e le espressioni più adatte a ciò che si vuol formare. La lingua, l'avrò già scritto altre volte, è uno strumento molto limitato in rapporto alla complessità del reale, e quasi impotente nella descrizione dell'irreale. Per questo è necessario sfruttarla, percorrerla da cima a fondo, combinare, provare, accostare, inventare se necessario. Quando prende il lampo, l'idea fuggente, fissarla con pochi chiodi, le prime parole che ci vengono in mente: a partire da quelle, lavorarci attorno, completare, estrapolare.
Ma in fin dei conti si deve anche considerare che la pubblicazione spesso è un atto di narcisismo, d'arroganza, anche se può tornare comodo ai fini economici, proprio per questo in certi casi è prostituzione del pensiero. La trovo giustificata solo se si sente che quel che diciamo può aggiungere un'idea in un guazzabuglio dove ormai è già stato detto tutto.
Scrivere per sé stessi, al limite per pochi intimi con cui condividerci, lo trovo più nobile.