Del Girone B mi sono giunti purtroppo soltanto due elaborati su tre. Ad ogni modo, per rendere le votazioni eque il nome dell'utente che non mi ha inviato il proprio elaborato non verrà reso noto fino alla fine della votazione.
Il sondaggio durerà 7 giorni e ciascun utente potrà esprimere una sola preferenza.
TEMA GIRONE B:"Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti."
Cesare Pavese
ELABORATO 1
"Opera prima"
"Sei tornato."
"Sì, ma è una situazione temporanea. Fra 15 giorni tornerò a Praga. Dovevo vedere delle persone."
"Per questo mi hai cercata?"
"Per questo ti ho cercata."
"E ora sono qui."
"Sono felice tu sia qui."
Ero davvero felice, lei fosse lì. L'avevo ricordata per anni, dopo essermi trasferito. Io, il mio nuovo lavoro, la mia nuova vita.
Ma in quel nuovo lavoro, in quella nuova vita, in quel nuovo me, era rimasto quel giorno.
Quel teatro abbandonato.
"Eccoci. Ce la fai a scavalcare?"
Salta la ringhiera come fosse un gradino, come una gatta.
"Sicuro che non debba aiutare io te?"
Sorride, spavalda, maliziosa. Ora, gatta lo è per davvero.
Scavalco, senza troppa fatica, e lei è già dentro. Mi sfugge, la rincorro. All'entrata di quel teatro dismesso, lei è ferma, e guarda le poltrone, il palcoscenico fatiscente.
A vedere un posto così uno si aspetta di sentire puzza di piscio e altre schifezze. Quel posto odorava di morte, e di passione. Di storia e di indifferenza. Sembrava che Dio, o chi per lui si fosse divertito a renderlo bello, e poi sputarci sopra, come un bambino che gioca con le costruzioni, costruendo un palazzo mastodontico solo per il gusto poi di spingerlo col dito e farlo cadere in mille pezzi.
"Sa di gloria decaduta."
<<Sei una troia, ma mi manchi.>> Un graffito sul muro cozza, o perfettamente si sposa con la poesia del tempo che fu, che era stata portata su quel palco.
"Che intendi?"
Si guarda intorno, con gli occhi enormi. È ipnotizzata da quel posto. Sembra le stia tutto negli occhi.
"Qui sopra ha camminato Shakespeare. O meglio, qui in questo punto" - si avvia sul palco - "per Romeo il pericolo era più negli occhi di Giulietta che in venti spade nemiche. Qui la dolcezza della sua amata lo ha reso forte contro l'odio. E sempre qui Giulio Cesare è stato accoltellato, ha guardato Bruto mentre lo pugnalava, perdonandolo come solo un padre può fare, piangendo. E più in qua la Morte ha messo un fiore in bocca ad un uomo condannato."
Deglutisco. Il suo monologo semba non finire. Mi colpisce allo stomaco.
"E ora ci siamo noi. Non attori, personaggi. Non persone, personalità. Non parti da recitare, storie. È questa l'essenza. Questo è pasato qui sopra.
"Recita per me..." dico a bassa voce.
"Cosa?"
"Sali su quel palco, voglio vederti recitare."
"Cosa vuoi che sia?"
"Mia."
Sale, e inizia a danzare, e a cantare. Recita passi della Divina Commedia, alternandoli a Dario Fo, a Oscar Wilde, Shakespeare, Marechal. Mi commuovo su Neruda.
Le batto le mani, piano, e lei si perde in un inchino esageratamente riverente.
"Magnifico."
"Mi sento viva qui dentro. Sento la vita che ci è passata."
Mi guardo intorno. La scritta della troia, qualche bottiglia a terra, un disegno di una donna nuda con le dita fra le gambe aperte e una banana fra le labbra tenuta dall'altra mano, con sguardo abbastanza inequivocabile, qualche simbolo satanico sparso, insieme a varie tag.
Sì. Si sente vita. Non solo quella che è passata sul palco. Si vedono persone morte sulle poltrone che credono di guardare personaggi che sono più vivi di loro. Molto più vivi di loro. Non di noi. Non quella sera.
"Fa' l'amore con me, Claudio."
La bacio, e facciamo l'amore lì, fregandocene dello sporco, delle malattie, del mondo. Siamo a proscenio. Siamo nel nostro elemento, e siamo l'opera massima. Siamo al climax del dramma che ci ha portato a quella scena. Il pubblico sotto applaude, urla, si inferocisce, ma noi non sentiamo niente. Per quelle 3 ore, non esiste niente. Sentiamo il mondo sullo sfondo, ci accompagna una canzone, anche se c'è silenzio, che parla di una tigre. Ci trasporta, progressivamente.
Quando abbiamo finito non abbiamo più il fiato, né le forze di continuare.
Esco dalle sue gambe, scendo dal suo corpo, e mi sdraio sulla schiena. Rido, ridiamo. Forte, fortissimo. Sembriamo isterici. La risata e il fiatone si alternano. Apro una birra dallo zainetto. Giro una canna. Nel giro di mezz'ora stiamo ancora fumando e bevendo, sotto una coperta. Siamo stati così, in silenzio, per quella mezz'ora.
Io steso, sulla schiena, una mano dietro la testa a farmi da cuscino. Lei di fianco, in posizione fetale, la sua testa sul mio petto.
È lei a rompere il silenzio.
"Non riesco ad immaginare la mia vita senza di te."
"Io purtroppo, sì."
Le mie parole colpiscono più me che lei. Mi tagliano dentro.
"Mi dispiace."
Si stringe di più a me, gli occhi ancora chiusi.
"Sì, ma non vuol dire che devi viverla per forza..."
Come in preghiera.
Ora sono qui, di nuovo. A Praga. Da solo. Lei è ancora lì, ad aspettarmi, di nuovo, o forse no. Forse sono io che aspetto lei. Forse semplicemente, io sono qui, e lei lì. E forse tornerò ancora, da lei. Per lei.
Lei è lì. E finché lei è lì, ad aspettarmi, o forse no, io non sono solo.
ELABORATO 2
Funambolicamente
"Pensavo davvero non tornassi più”
ha sussurrato, quel giorno, la tua voce dolce e malinconica. Quasi segretamente, quasi a voler contrastare il caos intorno, tra i giochi di sguardi di gente distratta che osserva veloce, tra risate ubriache e canti stonati.
Un trentatré giri invecchiato passava un Jazz lento, risuonando ovattato nei vicoli gonfi dell’inverno che ci fa scorrere il vino nel sangue. Sul tavolo di legno una candela accesa a fare da cornice ai nostri racconti. Così. Una volta l’anno, ogni anno, da molto tempo. Ed ogni volta l’inevitabile trovarsi diversi ci lasciava sorpresi. È il sentirsi vivi che ci disegna il cambiamento sul volto e nel corpo.
“Siamo equilibristi sul mondo”, mi dicevi sussurrando ma con tono sicuro, prima di ogni viaggio. Ripetevo questa frase tra me. Come fosse un mantra, quasi fosse un oracolo a ricordarci che non era un equilibrio precario, il nostro, ma una stabilità momentanea da vivere e godere a fondo, perché c’è sempre un ritorno.
Gli zaini traboccavano quotidianità ed il camminare ci entrava da terra, spostando ad ogni passo le nostre radici. Liberi e radicati. Sembrava che la vita sedesse sulle filagne dei trabocchi sul mare o su gradinate e mura dei ricchi paesini del nord, in attesa di incontrarci e correrci nella schiena come un brivido.
Assaporando le magie dei profumi diversi, ci siamo lasciati riempire selvaggiamente l’anima dei colori intorno, in un orgasmo di nuove sensazioni, coi polpastrelli frementi al sentirsi la vita scorrere sotto.
Dicono che ogni luogo in cui lasciamo liberi i nostri piedi ci somigli: siamo parte del luogo ed in ogni posto ritroviamo tracce del nostro vissuto.
Ed è percorrendo miglia e confidandoci promesse da mantenere che abbiamo riempito il quotidiano del nostro viaggiare con la consapevolezza che qualcosa per noi e di noi, dentro ed oltre quegli zaini e quei chilometri, c’è.
Il ritorno è reale.
Piccoli Ulisse, è la nostra Itaca ad averci messo in viaggio e ad Itaca torneremo, ricchi della miliardaria follia che accompagna i vagabondi con le coperte di cielo. Le ombre come processioni saranno lì, in attesa, ad accoglierci nella sera.
Camminiamo per i vicoli storici che la notte illumina d’oro, incontrando volti che sono ricordi come emozioni, ripercorrendo il vissuto ad ogni passo, e ad ogni passo rivivere e colorarci l’anima delle piccole certezze che ci hanno sempre fatti sentire a casa.
“Aspetta, ti riempio il bicchiere”.
Siamo qui ad osservare la primavera del cambiamento da un calice riempito, con farfalle di pensieri che ci volano intorno come musica. In questo primo piano sull’infinito, gli eccessi gremiscono l’osteria.
Dalla finestra entrano gomitoli di mondo verde e blu, come gli occhi nostri, come il profondo Mediterraneo ammaliante che ci ha cresciuti.
Sorridendo, allora, con voce calda ti ho detto
“Come avrei potuto non tornare...?”
Ho votato l'1. Scritto molto bene anche il secondo ma l'1 mi ha presa molto di più. Tra l'altro sono sicura dell'autore/autrice, il suo stile è un marchio e lo adoro.
Ben scritti entrambi, ma ho votato il secondo perchè (anche se in alcuni punti l'avrei alleggerito un po') tra i racconti dei due gironi è in assoluto quello che più si avvicina alla mia sensibilità...mi piace quello che trasmette.
Voto il primo, appena l'ho letto mi ha ammaliata. Anche il secondo mi è piaciuto molto, però trovo il primo in un certo senso più intimo, mi ha toccata di più.
L'elaborato vincitore del primo turno del Girone B è il primo!
Mi complimento personalmente con l'autore del testo, che rimarrà anonimo fino alla fine del concorso sia per evitare voti d'amicizia sia per aumentare la curiosità in tutti i votanti
Ricordo inoltre al vincitore di questo primo turno che passa, a causa della non ricezione del terzo elaborato per questo girone, automaticamente alla finale e avrà quindi 10 giorni di tempo per riposarsi in attesa che nel Girone A venga votato il finalista.
Il finalista del Girone B, se vorrà, potrà comunicarmi e inviarmi in privato un elaborato bonus basato sul tema che verrà assegnato per le semifinali del Girone A in modo da tenersi occupato in questi giorni per poi pubblicare l'elaborato "extra" a fine concorso.