Pubblico oggi, in data 1 Dicembre 2007, i racconti pervenutimi dai partecipanti al concorso.
TEMA: PAURA_____________________________________________ ___
...di bobot
Iussu Regis
Mi guarda. Quella cosa continua a posare lo sguardo su di me.
Il solo percepire la sua presenza mi inquieta, ma resterò nel vestibolo, davanti a lui. Continuerò a scrivere. Non devo farmi cogliere dal panico. Riporto tutto ciò su fogli sparsi, anziché in un diario, in modo da nascondere con più facilità le memorie, in luoghi reconditi da me prescelti. Non si sa mai che qualcuno, un domani, sia tentato di distruggere tali frammenti.
Kapparoth. E’ il nome indicato sulla pergamena che lo ha accompagnato, allorché si è insediato nella mia residenza, sei mesi fa, trasportato da messi regi. Un Decreto di Sua Altezza Reale, riportato nella medesima pergamena, mi impone la sua custodia. Così io, Plenipotenziario alle Provincie O., soggiaccio alla Volontà Suprema: Kapparoth è mio ospite. A dire il vero, nel Decreto manca una formale motivazione che giustifichi la suddetta misura. Il dispositivo mi impone semplicemente di riservare a Kapparoth le attenzioni che spettano ai Pari della Corona. Cosa abbia spinto il saggio Re ad una simile risoluzione, non mi è dato sapere. Ho l’ obbligo di eseguire i Suoi comandi, e non il potere di sindacarne gli intenti.
Kapparoth è a forma di cilindro, dell’ altezza di circa cinque piedi (tre di diametro), ricoperto da una cute squamosa. Due neri incavi nella facciata anteriore in alto sono i suoi occhi. Un po’ più in basso di questi, un’ incisione netta segna la sua bocca. Pare sempre irridere chi lo osserva. Comunica di rado, con sporadici rantoli, in un linguaggio sostanzialmente arcano. Invece il suo volto è dotato di una cangiante espressività.
I sudditi lo adorano. Il perché non è chiaro, ma per loro è un’ entità protettrice, garante della sicurezza nella comunità. Coloni giungono da ogni dove per elargirgli copiose offerte, che egli sembra accettare in compiaciuto silenzio. Non è nelle mie facoltà ostacolare i culti che vengono a formarsi nel territorio, riconosciuti e consentiti da Sua Maestà.
In ogni caso, per vie traverse, dopo sforzi faticosi (e clandestini) di convincimento, sono riuscito almeno ad impedire che in nome di Kapparoth fossero compiuti addirittura dei sacrifici umani. Spero che essi non avvengano di nascosto. A volte la superstizione popolare non ha argini.
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Sono passati alcuni mesi dalle mie ultime osservazioni. Mesi terribili.
Tra la mia gente i suicidi sono cresciuti in modo esponenziale, i padri si devastano di vino, le donne si prostituiscono, la plebe attacca le guardie… Nei volti dei ragazzi c’è violenza, ferocia. Fame. Fame di morte.
Tira aria di disordine e decadenza. Sono malato, debole, incapace di reggere la situazione.
Ho scritto un’ accorata lettera al Primo Ministro, ma non mi è giunta risposta. Siamo disperati e soli…Più passano i giorni, più mi sento debilitato. Sono visibilmente dimagrito. Mi cadono i denti ed i capelli. Non riesco a mangiare, a ragionare, ad amare, a vivere…
Sento che è colpa sua. E’ lui a succhiarmi la vita, e a sviare le menti.
Avrei dovuto distruggerlo, ma sarei passato immediatamente sotto la scure del boia…
Comunque, oggi è particolarmente minaccioso, e, per la prima volta, ho veramente paura.
Quello sguardo, solitamente sarcastico, ora ha un che di crudele e risolutivo.
Devo allontanarmi, mandare via i servitori. Chiamare soccorso, al limite…
Vado.
Non mi avrà, non p
(Resto del testo mancante. Accertato Decesso. Atto riservato.)
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...di Me_stessaXcaso
Causa spostamento del forum, ho accidentalmente cancellato il racconto pervenutomi.
Pubblicherò il racconto non appena riuscirò a mettermi in contatto con l'utentessa.
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...di Atilim
Venerdì sii fantastica.
Mi ha lasciato con queste parole, mi tornano in mente, sai? Certo che lo sai, sei qui con me, paura. Mi guardi aprire l’armadio, le gambe incrociate, seduta per terra, fissare i vestiti, gli occhi su di loro, la mente altrove. Stai dominando i miei pensieri, paura, sei vicino a me, spostati, non vedo.Sii fantastica, fallo per me.
Mi guardo allo specchio, matita e mascara mi rendono la loro immagine riflessa. Tra loro tu, che confondi i miei pensieri, rendi il mio tratto insicuro, guarda cosa mi hai fatto combinare. Paura di non piacergli, paura di quegli occhi che guardano con sufficienza me per poi posarsi sul culo di quell’altra, alto e sodo, che magari non ha fatto nulla per averlo così e io invece mi sono preparata tre ore prima di uscire. Non scuotere la mia mano, come posso essere bella per lui se mi fai sbagliare? Non vedi? È colato tutto. Asciugo la matita in eccesso, le lacrime le lascio passare, non le riesco a fermare con un fazzoletto.
Ti devi piacere, però.
Piacere a me? Al mattino neppure mi guardo, ho paura di trovare la stessa faccia, quella di sempre. O forse ho paura di non trovarla. Perdo anche quella ed è finita. Mi sento come un quadro su cui hanno gettato un bicchiere di vino. Il mio corpo assorbe la paura, ma la mostra anche. La vedo lì. Lo sento il tuo sguardo, distolgo il mio. Se ti riuscissi a guardare in faccia, non esisteresti più. Puff… Come questa cipria che si alza in volo dal pennello.
E poi rimarrei sola e mi farei ancora più male.
Evitiamo.
Che già questa stanza sta diventando un fiume, non voglio che mi trascini via, sono già annegata nei miei pensieri. Non è facile rimanere a galla.
Paura di non piacerti, paura di non esser figa, paura che quel tuo sorriso sia solo di pietà. Paura di non sapere i tuoi pensieri. Paura di poterli conoscere. Paura di aver paura. Paura di me perché mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Sembro una ******* triste con questo vestito attillato e il trucco pesante. Ma non lo posso essere a 17 anni. Non posso esser triste.
Mi salti in braccio, paura. Ti vedo, sogghigni. Lo sai che lo affronterò con le gambe tremanti, che prenderò il treno e camminerò con le spalle rivolte alla mia meta, la sicurezza sta solo dove so già cosa vedrò. Mi guardo e vedo te. Mi stai attaccata, non mi molli. Vorrei essere in uno di quei film del sabato pomeriggio, quelli dove alla fine tutto finisce bene, il cattivo perde, il buono vince. Se fossi lì dentro ora ti scaglierei lontano da me, con un gesto teatrale, forse un po’ animalesco. Toglierei questo trucco e questo vestito stupido comprato ieri. Infilerei una tuta e me ne verrei da te così come sono, al naturale. Ora lo faccio, non ci vuole poi molto.
Fatto.
Riguardo allo specchio e non vedo altro che me. Stretta in un vestito troppo corto da un destino che mi sono creata io. E tu sempre lì. Perché non te ne sei andata? Non ti avevo buttato via, paura? Ah no. Peccato, non sono in un film. Tutto è reale, quella sono io. Ma so recitare bene. Sarà un po’ come fare un provino: fingerò di piacermi, di trovarmi bella. Sorriderò fuori. Dentro tanto non mi può vedere. Un’ultima occhiata allo specchio, mi sistemo il lucidalabbra. Vado a prendere il treno. Salgo partendo dal fondo, spalle alla meta. Perché non c’è bisogno di guardare le telecamere in questa commedia, è solo mia. Ingoio un boccone amaro, ma non ti ho mandata giù. Mi rimani in gola, paura.
Mi sono fatta bella per te. SOLO per te.
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In attesa del giudizio dei giurati, non aprirò alcun sondaggio.