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Una storia di natale

  1. #1
    Overdose da FdT
    Uomo
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    Predefinito Una storia di natale

    Testimonianza di Mirko, Fabbris preparatore atletico

    Sì quel Natale Giulio ci sorprese davvero e ci divertì portando ad
    ognuno un regalo buffo e speciale. Un bellissimo scherzo, che mise
    allegria perché il regalo era un modo per prenderci amichevolmente e
    in giro. Fu molto, molto divertente, anche se non tutti in verità la
    presero bene.

    Qualche esempio?

    Dango. soprannominato “Orco”, ebbe in dono la favola di Pollicino.
    Chiunque avesse osato tanto sarebbe stato spezzato in quattro,
    chiunque ma non Giulio: quando gli porse l’omaggio Dango scoppiò in
    una potentissima risata e abbracciò il compagno con affetto.

    Toffoli invece, che parlava sempre nel suo incomprensibile dialetto
    veneto ricevette, tra le risate dei compagni, l’iscrizione a un corso
    di lingua italiana per stranieri.

    Il mister, Flavio Castello, ebbe una confezione di soldatini con la
    seguente dedica: “Al Signor Allenatore, per studiare meglio le
    strategie di gioco”.

    Anselmo Matteucci, il bomber, che non aveva per nulla in simpatia
    Giulio perché, come diceva lui, “gli rubava spazio”, ebbe in dono un
    CD di musica lirica intitolato “la prime donne della Scala”.

    Poi il Dottor Scorolli il medico sociale. Scorolli ricevette un gioco
    in scatola “Il piccolo veterinario”. Quando aprì il pacco e tutti
    esplosero in una risata divenne tutto rosso e mi chiese una sigaretta,
    anche se stava già fumando.

    Giulio portò così il buonumore quel Natale nello spogliatoio. Tutti
    andarono via felici. Quasi tutti. Infatti più tardi, mentre stavo
    uscendo, sentii un forte odore di plastica bruciata provenire dalla
    sala riunioni. Mi affacciai, pensando a un principio di incendio e
    vidi il mister che aveva gettato la scatola dei soldatini in un
    cestino e gli aveva dato fuoco.

    La testimonianza di Ubaldo Cavallaro, opinionista televisivo

    Quel Natale Giulio Capriata era al centro dell’attenzione come
    Lindberg dopo aver raggiunto il Polo Nord. Indubbiamente il suo era un
    modo di giocare al calcio completamente diverso dal solito, basato
    sulla tecnica e sulla intelligenza a discapito della forza e della
    prestanza atletica. Il calciatore non era più un forzuto come Primo
    Carneade, ma un artista del pallone, un virtuoso, un Placido Mandingo
    del calcio.

    Con lui però la squadra non era più una struttura omogenea ed
    organizzata, tutti i giocatori dovevano ruotare attorno a Capriata,
    come le galassie ruotano intorno al sole.

    E queste contraddizioni prima o poi sarebbero esplose, con la stessa
    potenza del vulcano Cacatua.

    Comunque Capriata inviò anche a noi giornalisti piccoli doni
    personalizzati. A me donò una enciclopedia tascabile, anche se non ho
    ancora capito perché.

    La testimonianza di Odoacre Valmassoni, dirigente dello Juventus Club
    di Pavia

    Prima di Natale ci fu, come di consueto, l’incontro tra la squadra e i
    dirigenti dei club, per lo scambio di auguri. L’atmosfera era cordiale
    e calorosa, c’era un bel buffet ed i giocatori si mostrarono simpatici
    e disponibili.

    A rappresentare lo Juventus Club di Molteno, c’eravamo io e Aldone, il
    capo degli ultras.

    Eravamo ancora offesi con Capriata, per quando era venuto al nostro
    circolo e aveva detto che non gli piacciono i cori, le sciarpe e che
    condannava anche le piccole scaramucce con i tifosi avversari. Però
    era Natale e volevamo essere buoni e magari fare anche la pace perché
    poteva anche essere che lo avevamo capito male e che non voleva
    proprio dire così.

    Così io e Aldone ci siamo avvicinati a lui, e gli ho chiesto:

    “Ti ricordi di noi, quando sei venuto a Molteno?”



    “Come no – ha risposto lui sorridendo – è stata una bellissima serata
    e ancora vi ringrazio.”

    “Ci fa piacere – ci ho detto io – perché sai ti devo confessare che
    qualcuno è rimasto perplesso quando hai detto che i tifosi ti danno
    fastidio e che gli stadi sono pieni di energumeni che vanno lì non per
    vedere la partita ma per fare a botte.”

    Lui si è messo a ridere di gusto e ci ha detto:

    “Ma no, ragazzi, non ci siamo capiti, a me i tifosi di solito non
    disturbano, la maggior parte sono educati e rispettosi, io parlavo
    degli scalmanati, di quelli che sono esagitati e violenti, degli
    ultras insomma.”

    Aldone in quel momento ha stretto forte le nocche delle mani che hanno
    schioccato come mortaretti e mi ha detto nell’orecchio “Io adesso lo
    meno”, ma io gli ho fatto segno di stare bravo, mentre Capriata
    continuava:

    “E poi è vero, ci sono gli energumeni, ma c’è anche tanta gente per
    bene allo stadio. Quelli che vanno a godersi la partita. Quello che è
    non mi va è quello che chiamano il tifo organizzato, quelli che fanno
    i prepotenti solo perché sono un gruppo, trascinati da capi e capetti
    esaltati e frustrati.”

    “Bene. Buon Natale” ho concluso io, trascinando via Aldone che stava
    per esplodere. Per calmarlo gli ho detto

    “Non te la prendere, Aldone, il cotechino che abbiamo portato mica
    glielo diamo, ce lo mangiamo stasera a casa mia”.

    Testimonianza di Carmelo Cusimano, calciatore del Messina

    Quando che arrivò Natale io ancora inqualificato ero, da quella volta
    che quel fottutissimo fetuso di Capriata mi fece espulgere perché
    quando che ci ammaccai onestamente la caviglia lui tre tunnel
    tremendissimi mi fece in mezzo alle mie proprie gambe causandomi
    grandissimo disonore ed io cercai di zomparci addosso per lavare
    l’onta e romperci le corna ma trattenuto fui dai compagni, cacciato
    dal cornutissimo arbitro e insultato dall’ancor più cornuto mister.

    Così sorpresa grandissima fu quando che a Natale un pacco mi giunse da
    Capriata con numerosi salumi toscani, la sua maglietta ed un biglietto
    che diceva:

    “Caro Carmelo, ti invio questo dono in segno di pace, tendendoti la
    mano dopo il malinteso della partita. Auguri Giulio.”

    Immediatamente mi decisi a rispondere e ci scrissi una lettera che
    così diceva:

    “Caro Giulio, non puoi propio capire quanto felice sono per il tuo
    pensiero e scriventoti queste riche onoratissimo sarei se tu a
    trovarmi venissi quando che ti pare, che la porta di casa mia qua in
    Sicilia sempre aperta è per te ed io a riceverti sempre pronto sono
    anche subito se vuoi. Salutiamo. Carmelo”

    Imbucata la lettera andai nel cortile andai e chiamai Adolfo, il mio
    rotvailer. Ci diedi in pasto i salami, ci feci annusare la maglietta e
    guardandolo negli occhi canini ci dissi:

    “Tienti pronto picciotto.”

    Renato de Rosa

    Personaggi tratti del libro “Il più grande calciatore del mondo”

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