Vorrei qui - definitivamente - sfatare un mito. E cioè che il genere femminile ci sia tecnologicamente inferiore. A noi maschi, intendo.
Si tratta di uno dei più tragici errori compiuti dai tempi della sottrazione della costola necessaria a Dio per plasmare la donna: credere che ragazze, fidanzate, compagne, mogli, madri, capiscano soltanto ciò che danno ad intendere di capire. O che abbiano bisogno di noi per una qualsiasi attività: che si tratti di piantare un chiodo, sturare il lavandino, programmare il videoregistratore. Sono capacissime da sole. È che in parte non hanno voglia, e in parte ritengono che un po' di movimento (muscolare o di neuroni) di tanto in tanto faccia bene tanto al nostro fisico quanto al nostro ego.
Il videoregistratore, nella fattispecie, rappresenta il terreno su cui si sono giocate le più aspre battaglie tra i sessi: dal momento che ogni qual volta che chiamiamo a casa dall'ufficio per farci registrare la partita, la telefonata per comunicare tutte le istruzioni necessarie ha termine - come minimo - alla fine del primo tempo e si è conclusa con il rispettivo proposito di assoldare, l'indomani, l'avvocato divorzista più costoso della città, ci siamo convinti di avere in casa una deficiente totale, capace di destreggiarsi tra i sei pulsanti e la manopola necessari per far funzionare la lavatrice ma, allo stesso tempo, di rimanere inebetita al cospetto del tasto "Play".
Ciò che, in quanto uomini, non siamo in grado di capire (al pari di un sacco di altre cose: che la tavoletta del cesso va alzata; che quando stiamo facendo pipì non siamo alle prese con una pompa antincendio da domare; che la carta igienica non è una pianta che nasce spontaneamente sul portarotolo) è che la lavatrice è indispensabile, il videoregistratore solo utile. La differenza è sottile, ma sostanziale: cambiarsi le mutande è necessario, tifare per il Milan no.
Per fare un esempio: la parola "Eject", nel vocabolario femminile, non esiste. È un equivoco alla base di centinaia di liti che iniziano più o meno così:
LUI: «Ora inserisci la cassetta»
LEI: «Non entra!»
LUI: «Togli il cellophane»
LEI: «Guarda che non sono scema!»
LUI: «Allora girala al contrario»
LEI: «Ah!»
LUI: «...»
LEI: «...»
LUI: «Beh?»
LEI: «Non entra lo stesso»
LUI: «Spingi»
LEI: «STO spingendo! Non entra.»
LUI: «Cosa vedi sopra la cassetta?»
LEI: «Due cosi bianchi»
LUI: «Ora la stai mettendo sottosopra»
LEI: «Se tu le cose non me le spieghi! Comunque non entra lo stesso»
LUI: «Hai controllato se per caso c'è già dentro un'altra cassetta?»
LEI: «No. Come faccio a saperlo?»
LUI: «Sul display c'è un simbolo composto da due cerchietti uniti in alto da una riga»
LEI: «Eh, qui è tutto illuminato. Ci sono un sacco di cerchietti»
LUI: «Vabbè, fa niente: premi "Eject"»
LEI: «Cosa?»
LUI: «"Eject"! Il tasto "Eject"!»
LEI: «Non c'è»
LUI: «C'è. Controlla: dovrebbe essere il primo a sinistra sul videoregistratore»
LEI: «Non c'è»
LUI: «...O il primo in alto sul telecomando»
LEI: «Quale telecomando?»
LUI: «Facciamo così: leggimi tutte le scritte sotto i tasti»
LEI: «Allora... "Plei", "Pause", "Rew", "Ffwd", "Rec", "Ayacht"»
LUI: «Eh?»
LEI: «"Ayacht"»
LUI: «"Eject"!»
LEI: «Eh... "Ayacht"!»
LUI: «Senti... mavaffanculo te e la partita»
Tanto ci basta per decretare solennemente che ci siamo presi in casa una deficiente totale. Da quel momento questo assunto sarà per noi una verità assoluta, incontestabile, oggettiva: deficiente. Totale.
È qui che possiamo ufficialmente iniziare a considerarci in trappola: un giorno scorderemo il computer acceso, il telefonino sul suo comodino, l'agenda nella ventiquattr'ore aperta. A lei - di cui conservavamo l'immagine dell'ultima volta che l'abbiamo vista alle prese col tasto "Play", con lo sguardo ebete e un rivolo di saliva che scendeva dalla bocca - quei pochi secondi che impiegheremo per accorgerci della distrazione saranno bastati per sfoderare conoscenze informatiche e abilità da hacker paludata, che perfino Kevin Mitnick le farebbe una sega.
Non che il PC spento, il PIN sul telefonino o la combinazione della ventiquattr'ore, nel caso, possano fermarla: se è necessario, se le garantisce la certezza di beccarci con le mani nel sacco a fare i cretini con una zoccoletta qualsiasi, allora si dimostrerà in grado di aprire a morsi il case del computer, isolare la motherboard, variare i voltaggi di alimentazione Core del processore, posizionare il jumper in modo da mandare in corto il chip che resetta la password di bios e masterizzare tranquillamente un cd contenente anni di e-mail indirizzate a ex fidanzate, fax di prenotazione per motel superaccessoriati dotati di vasca idromassaggio e specchio sul soffitto e file log di ICQ in cui dichiariamo di essere single convinti ma alla ricerca dell'anima gemella. Pare che le più sgamate riescano nel frattempo a fare perfino Fdisk sul disco fisso e ad installare un loro personale FTP pirata sulla partizione Linux secondaria.
Non ci voleva molto: avremmo dovuto capirlo. Sarebbe bastato osservarla alle prese con il telefonino. Perché gli SMS, ad esempio, sono pragmatici, quindi compatibili con la filosofia femminile secondo la quale la fatica di utilizzare un qualsiasi mezzo tecnologico vale la pena solo se lo scopo è la certezza del risultato, tipo: "Io. Te. Domani. Scopare. Vedi di farti trovare". Tutto in meno di 160 caratteri. Per una donna, insomma, il fine giustifica i mezzi. Per noi pure: l'unica differenza sta nel fatto che un uomo animato da medesime intenzioni sarebbe al dodicesimo dei 47 messaggini concatenati necessari per trascrivere integralmente "Cet Amour" di Prévert.
Invece ci hanno beccato. Motivo per cui risulta chiaro che di "Io. Te. Domani. Scopare" non se ne parla per un po'.