Rivendicavano la proprietà esclusiva del giardinetto pubblico e non hanno esitato ad aggredire in venti quattro ragazzine, di cui una affetta da sclerosi multipla. Colpevoli, secondo loro, di essere sedute a mangiare un gelato sulla panchina sbagliata di corso Bernardino Telesio, alle undici di sera.
«Il parco è cosa nostra» dicevano le bulle, accennando qualche sguardo di minaccia in mezzo al fumo delle sigarette. Cominciando dalla più classica delle intimidazioni. «Ve ne dovete andare altrimenti sono guai, voi non sapete con chi avete a che fare». Senza che ci fosse replica, son partite allora le botte sulla più indifesa del gruppo di amiche.
Laura, la chiameremo così, sta ora meditando se denunciare il branco. La compagnia di amici con cui lei stessa è uscita per un po’ di tempo. È spaventata, ferita ad un braccio dopo essere stata gettata a terra, tirata per i capelli, presa a ginocchiate. Senza motivo, se non quello di non aver rispettato all’istante quell’ordine perentorio, venuto da una ragazza della sua stessa età.
«Erano una ventina scarsa, praticamente tutte maggiorenni. Sono giovani del nostro stesso quartiere, le conosciamo bene» racconta un’amica. Al momento delle minacce è stata lei a prendere l’iniziativa, a cercare di difendere la tranquillità di quella serata. «Ho cercato di farli ragionare a parole, spiegando come non avessero alcun motivo per mandarci via - continua -. Non avevamo mai avuto screzi, ma ci avevano prese di mira già da un po’ e non mollavano l’osso».
Il gelato che stavano mangiando, mentre si scambiavano racconti e confidenze di giornata, offendeva la compagnia. Stonava quell’esagerata normalità, specie davanti alle auto di grossa cilindrata posteggiate all’ingresso del giardino dove Laura e le sue amiche sono diventate in un attimo bersaglio. Sfogo per la noia, per la rabbia accumulata e repressa. «Facevano discorsi senza senso, abbiamo detto loro che a vent’anni è un po’ tardi per questi giochi infantili. È stato allora che una di loro, in particolare, ha iniziato ad urlare che noi non sapevamo quanta rabbia avesse in corpo e fosse pronta a sfogare».
Detto, fatto. «Si è scagliata prima su di me, poi sulla mia amica. Io ho cercato di difenderla, dicendo che non stava bene. Ma non c’è stato verso, era una furia». Intervengono altre amiche, per dar manforte. «Mentre i loro ragazzi ridevano e stavano a guardare».
Come a godersi uno spettacolo, di cui loro stessi non si sentivano quasi responsabili. «A quel punto li abbiamo minacciati anche noi, dicendo che li avremmo riconosciuti e denunciati. Hanno fatto spallucce»
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