Samuele Donatoni ucciso dal «fuoco amico», ammazzato per errore da uno o due colpi sparati da un collega, da un altro agente dei Nocs. Non lo dicono più solo i difensori degli imputati accusati del concorso nell’omicidio dell’ispettore dei Nocs. Ora ci sono anche i dati scientifici, le conclusioni del perito che effettuò l’autopsia sul corpo del poliziotto ucciso e che ha detto chiaramente che dalla distanza dove si trovava Mario Moro, con quel fucile e quelle cartucce, un colpo avrebbe fatto danni molto ma molto più gravi. L’ipotesi che Samuele Donatoni non sia rimasto vittima dei banditi aleggia come un’ombra sulla vicenda del sequestro Soffiantini fin dall’ottobre del ’97, da quel maledetto venerdì 17, quando finì in tragedia il bliz voluto dalla Procura di Brescia per catturare i sequestratori di Giuseppe Soffiantini, attirandoli nella trappola di un finto pagamento del riscatto. Questa ricostruzione era stata perlomeno accennata anche nella deposizione di Giorgio Sergio: «Vidi le fiammate della raffica sparata da Mario Moro - ha detto l’imputato - ed erano tutte rivolte verso l’alto, come se avesse sparato in aria». Ma lo stesso Mario Moro, sia parlando con i complici Giorgio Sergio e Osvaldo Broccoli subito dopo la sparatoria, sia nei verbali di interrogatorio dopo l’arresto, si assunse implicitamente la responsabilità della morte dell’ispettore, dicendo semplicemente di essere sceso sulla strada per vedere se davvero era una trappola, di essersi trovato davanti un’ombra e di avere aperto il fuoco praticamente alla cieca. Ma Mario Moro, ha spiegato Sergio, quella sera era davvero fuori di testa, aveva passato il pomeriggio a scolarsi «mignon» di liquore che aveva rubato a manciate da una villa vicina a Riofreddo e quando disse a Giorgio Sergio di aver sparato a un’ombra era agitatissimo e quasi in lacrime. Fino a ieri quindi si poteva parlare di dubbi, di inquietanti indizi che facevano pensare che davvero qualcosa non quadrasse nella ricostruzione ufficiale dell’omicidio di Samuele Donatoni. Un colpo solo che trapassa una coscia e anche il torace poteva sembrare strano, improbabile; un colpo che proviene dalla parte opposta a quella dove si trovavano i banditi rispetto al poliziotto era ancora più inspiegabile. Ma ora ci sono dei dati precisi e un parere molto qualificato. É quello della anatomopatologa Simona Del Vecchio, che effettuò l’autopsia sul corpo dell’ispettore ucciso a Riofreddo e che ieri è venuta a testimoniare nell’aula bunker del Foro Italico al processo ai sequestratori di Giuseppe Soffiantini tra i quali tre, Giorgio Sergio, Osvaldo Broccoli e il latitante Attilio Cubeddu devono rispondere anche di concorso nell’omicidio di Riofreddo. Simona Del Vecchio ha detto innanzitutto che Samuele Donatoni aveva due ferite trapassanti, una alla coscia sinistra e una con foro d’entrata nella parte anteriore del torace, all’altezza dello stomaco, e foro d’uscita dalla spalla destra. É ovviamente quest’ultima ferita che ha provocato la morte perchè il proiettile ha attraversato il torace troncando alcuni importanti vasi sanguigni e in poche decine di secondi il poliziotto trentaduenne è morto dissanguato. Ma l’anatomopatologa ha anche precisato che è quasi impossibile che si sia trattato di un solo proiettile che ha seguito una traiettoria bizzarra, molto più seriamente bisogna ipotizzare due colpi, entrambi provenienti dalla sinistra dell’ispettore. Poi, rispondendo alle domande dei difensori degli imputati, Simona Del Vecchio ha detto chiaramente che quei fori d’entrata e uscita sono compatibili con i proiettili del Kalashnikov, ma non con la distanza alla quale, presumibilmente si trovava Mario Moro: «Quel tipo di pallottole - ha spiegato l’esperta - possono fare quel tipo di ferite se sparati da 80-100 metri, non da vicino e circa 15-20 metri devono essere considerati una distanza breve». Dopo la dottoressa Del Vecchio è stato interrogato Alfonso D’Alfonso, della Polizia scientifica, responsabile dei rilievi sia a Riofreddo che nella galleria di Pietrasecca dove vennero catturati Mario Moro e la sua banda il 20 ottobre del ’97. Ebbene anche l’esperto della Polizia di Stato ha ribadito un dato che, connesso alle conclusioni della dottoressa Del Vecchio, sembra scagionare Mario Moro e quindi anche i suoi complici. D’Alfonso ha confermato che i bossoli del Kalashnikov trovati sulla strada e nelle immediate vicinanze, e cioè nel punto dove si trovava Mario Moro quando sparò, erano a non più di 15 metri dal luogo dove Samuele Donatoni venne ferito a morte.