PECHINO — Parli di sesso e la Cina arrossisce di vergogna. Diventa bacucca e inquisitoria. Eppure la Cina si solluchera con il sesso. Se poi è hard si eccita. I cinesi e le cinesi lo cercano, lo vendono, lo comperano, il sesso. E allora? Un doppiogiochismo spudorato che una condanna all’ergastolo schiaffata a un giovanotto, furbacchione e porcellone, ha finalmente rivelato e sottratto dalle bugie di una eticità perbenista e da esibizione. Merito della sessuologa Li Yinhe, studiosa molto apprezzata della Accademia delle Scienze (il brain trust del governo), se poi si è accesa una disputa pubblica sui tormenti dell’eros. La professoressa è insorta per la pesantezza della pena inflitta al pornoimprenditore — perché paga solo lui? perché c’è una legge mozzateste da vecchio impero? — e si è scagliata contro un moralismo da crociata che è di facciata in quanto dissimula forti e profonde pulsioni collettive. Conclusione: «La Cina non è ancora uscita dal Medioevo del sesso». Boom di discussioni e di battaglie a colpi di e-mail sui blog e sui siti internet.
Banale a dirsi ma il dito è davvero finito sulla piaga. Gratta-gratta sotto la crosta timidina e impacciata che copre una società sessualmente repressa c’è una pornolandia supergoduriosa e sporcacciona. Relazioni extra, scambismo, rapporti a pagamento cash, a pagamento in carta di credito, a pagamento rateale. C’è di tutto. Però non si svela. Perché è peccato. E—peccato o reato—non lo è soltanto la trasgressione che porta denaro alle triadi mafiose (il che giustificherebbe controlli e mano ultrapesante). Lo è pure la sbirciatina, la scampagnata, la goliardata o il bisogno di un godimento riservato e solitario. L’etica di Stato ultraestremista diventa l’equivalente del bigottismo integralista religioso. Per entrambi la brama di sesso e di erotismo configurano il settimo vizio capitale. Da ergastolo. Senza distinzione di ragioni.
Un luna park di ipocrisie. A scoprire la realtà non ci vuole molto. In ogni angolo della Cina, pensi di entrare dal parrucchiere e ti ritrovi sdraiato nel retrobottega con un paio di signorine o di signorini che anziché barba e capelli ti scombussolano con il massaggio «special». Vai nel negozio di dvd e gli scaffali si aprono come uno scrigno segreto alla James Bond per spalancarti un percorso negli abissi dell’erotismo. Vai in libreria e ti danno di spalluccia per proporti incontri incendiari. Vai al centro benessere più vip e con la scusa della riflessologia ti accompagnano nel paradiso della disinibizione. Vai all’albergo a cinque stelle e con la colazione in camera ti arrivano il menù e il tariffario del kamasutra. Insomma il sesso strapiace offrirlo e riceverlo in tutte le salse ma occorre stare attenti. La Cina, quella in superficie, è vereconda e complessata, quella reale è guardona e lussuriosa. C’è, appunto, una Cina da «Medioevo del sesso » e c’è una Cina hard, a luci rossissime che di Bangkok e Amsterdam si fa un baffo.
In questa baraonda, ogni tanto, resta impallinato lo stupido di turno (il mascalzone vero sfugge) che sconfina nell’eccesso più irritante e si dimentica che il partito, custode della morale e dell’etica di Stato, ha proclamato nel 2004 la «guerra di popolo contro la pornografia».
Poco più che un ragazzotto, Chen Hui, in tasca aveva soltanto la licenza elementare. Però la fantasia non gli mancava. Aveva fiutato che la Cina si stava nutrendo di illusioni pruriginose, che l’osceno veniva elevato a dottrina di massa, che la favoletta sullo spirito incorruttibile dei bravi cittadini era appunto una favoletta che non incantava più anima viva. E allora si è riciclato pornoimprenditore e ha messo su un’aziendina a uso esclusivo della comunità del sesso virtuale. Solo che ha tirato la corda fino e ben oltre il consentito. Anche il più cieco degli investigatori, il più «oliato» dei poliziotti, il più mansueto dei guardiani rossi di internet non poteva mica negare che sul sito «pornographic summer» (estate pornografica), il suo sito, alla data del 2 ottobre 2005 erano state caricate la bellezza di nove milioni di immagini e di articoli dal contenuto più o meno spinto, libidinoso e hard. Esagerato. Dalla scollatura più ammiccante e innocente alla porcheria più ributtante.
Un successo strabiliante. Volete vedere, curiosoni? Pagate. Tariffe di ogni specie e per ogni tasca: accesso per un mese alle foto e ai filmini, accesso per due mesi, accesso per un anno. Niente meno che la «polizza vita», il porno per l’eternità. Mediamente prezzi fra i 20 e 35 dollari. Con il massimo dello «sballo » riservato al «top level vip», 500 dollari. Beh, l’omino del Fujian, provincia cinese, si era tirato su una schiera di 600 mila affezionati clienti. Mica uno scherzo.
Il giocattolino, alla fine, gli è crollato. Per colpa di uno spione che un giorno si è impantanato in Rete per trovare il sito di un ospedale che era sparito. Cerca e ricerca ti salta fuori, anziché l’ospedale, il «Pornographic Summer». Allora ha alzato la cornetta del telefono e ha chiamato la polizia: «Lo sapete che...» Chen Hui è andato a sbattere contro l’ergastolo. Condanna esemplare? Condanna giusta? Sessuofobia? Due giorni dopo la professoressa dell’Accademia delle Scienze, suscitando irritazione e sorpresa fra i colleghi politicamente più corretti, si è chiesta: che cosa nasconde la mannaia dei giudici? E lì è venuta fuori l’atroce verità a due facce. Che cosa siamo? Il Medioevo del sesso o Pornolandia? Forse entrambi. Dibattito per niente accademico che entusiasma o preoccupa, dipende dai punti di vista, la Cina.