Fra i misteri della politica italiana, un posto a parte lo meritano i
convegni estivi dei partiti. A cosa servono queste sagre paesane che
esibiscono D'Alema e Rutelli al posto del santo patrono o del branzino alla
griglia? A quale insopprimibile bisogno della Nazione intendono dare
risposta? Non ci risulta che a settembre i ministri di Blair e della Merkel
vaghino per brughiere scozzesi e foreste nere, discettando in t-shirt di
tagli alle pensioni e nuovi organigrammi televisivi. Quei grigi burocrati
sono già da giorni in Parlamento, a lavorare.
Il rito della politica-festivalbar avrebbe una qualche giustificazione se
gli incontri di piazza servissero almeno a rendere più umano il rapporto con
la plebe votante. Invece sembrano una continuazione di «Porta a porta» con
altri mezzi: il politico-divo sale sul palco circondato da taccuini e
guardie del corpo, viene intervistato da un giornalista famoso e dopo i bis
e gli applausi scompare nella notte. Per i presenti saranno anche emozioni
degne di Vasco Rossi. Ma chi osserva da casa le sintesi nei telegiornali si
sente preso in giro: quei potenti abbronzati e vestiti come se fossero
sempre in vacanza parlano di sacrifici economici e missioni militari con una
tensione drammatica e una verve polemica così accentuate da far sorgere
spontanea una domanda: perché, invece di discuterne in riva al mare, non
andate a farlo a Roma, riaprendo le Camere ancora chiuse per ferie?
Non reputo Gramellini un grande giornalista. Ho letto altre volte enormi cazzate uscite dalla sua penna; l'articolo che proponi mi sembra di un certo qualunquismo, quelle cose che si scrivono tanto per acchiappare il consenso dei lettori ma che in realtà non dicono e non servono a niente, alla stregua dei porta a porta a cui si riferisce.