Era l'anno 1734 e il re di Napoli Carlo III di Borbone era deciso ad ufficializzare nel suo Regno il gioco del Lotto che, se mantenuto in modo clandestino, avrebbe sottratto entrate alle casse dello Stato. A ciò si opponeva il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, perciò tra il sovrano e il frate scoppiò una violenta disputa.
Padre Rocco, legato al re da un rapporto di amore odio, diceva che non era giusto introdurre un "così ingannevole ed amorale diletto" in un paese in cui si cercava sempre di rispettare gli insegnamenti cattolici.
Alla fine, però, Carlo III, facendo presente che il lotto, se giocato di nascosto, sarebbe stato più pericoloso per le povere tasche dei sudditi, riuscì a spuntarla, ad un patto però, che il gioco del lotto, almeno nella settimana delle festività del Natale, sarebbe stato sospeso.
In quei giorni il gioco, insomma, non poteva distrarre il popolo dalle preghiere.
Ma il popolo subito pensò di organizzarsi per proprio conto.
I novanta numeri del lotto furono messi in "panarielli" di vimini e, per divertirsi in attesa della mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare numeri sulle cartelle. Così la fantasia popolare riuscì a trasformare un gioco pubblico in un gioco familiare, che prese il nome di tombola dalla forma cilindrica del numero impresso nel legno e dal capitombolo che fa lo stesso numero nel cadere sul tavolo dal panariello che, una volta, aveva la forma di tombolo.
Ad ognuno dei novanta numeri della tombola fu attribuito un simbolo diverso da regione a regione. I simboli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi, alcuni anche piuttosto scurrili.
Si può, dunque, affermare che la tombola è figlia del lotto, ma soprattutto della fantasia del popolo napoletano.
La parola "tombola", secondo alcuni verrebbe da tombolare (roteare o far capitombolare i numeri nel paniere), secondo altri verrebbe da tumulo (forse per la forma piramidale del paniere).
(da http://www.intelligiochi.it/nonni/tombola.htm)