A trasmetterlo sono le zanzare del genere Aedes, le stesse che veicolano Dengue e Chikungunya, ma si tratta di un virus, nello specifico di un Flavivirus, molto meno noto. È lo Zika, responsabile di un recente focolaio che ha colpito l’America meridionale e centrale, portando le autorità sanitarie a rilasciare linee guida in particolare per le donne in gravidanza. Il virus potrebbe avere un ruolo nelle malformazioni neurologiche che colpiscono i feti, come la microcefalia, che causa una riduzione significativa del volume del cervello e della circonferenza cranica.
Lo Zika è stato identificato per la prima volta in Uganda nel 1947, sui macachi Rhesus, e “da allora abbiamo visto vari focolai in particolare in Polinesia e Oceania”, spiega Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive Parassitarie e Immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità. “È la prima volta che attira l’attenzione in questo modo, perché la possibilità di un’associazione con malformazioni è un’ipotesi molto forte, specialmente se si considera l’ultima epidemia in Brasile”.
Se tra il 2010 e il 2014 i casi di microcefalia in Brasile si aggiravano tra i 150-200
l’anno, quando a novembre 2015 si sono superati i 1.200 casi registrati (in 14 stati) è stata dichiarata l’emergenza sanitaria; a gennaio abbiamo superato i 3.900 casi sospetti. Sempre a novembre, il Ministero della Sanità brasiliano ha comunicato che era stato identificato l’RNA del virus nel liquido amniotico di due delle donne con bambini colpiti dalla malformazione. Anche la Polinesia Francese, colpita duramente dallo Zika nel 2013 (28.000 casi, l’11% della popolazione) e nuovamente negli anni successivi, ha riportato nello stesso periodo un aumento dei casi di malformazioni cerebrali e sindromi polimalformative potenzialmente associate al virus.
L’infezione e le complicazioni
Il periodo di incubazione è sconosciuto, ma i sintomi dello Zika durano due-sette giorni e possono facilmente essere confusi con un’influenza. Febbre, dolori, mal di testa e sfoghi cutanei che si presentano solo in una persona su quattro infettate: le altre sono asintomatiche. “Il che rende ancora più difficile identificare il virus in una donna in gravidanza”, spiega Rezza. “Sfruttando la PCR [reazione a catena della polimerasi] è possibile trovare l’RNA dello Zika nel sangue di un malato in fase acuta. Ma in caso di infezioni leggere o asintomatiche, con poche linee di febbre, difficilmente si proporrà una PCR a una donna in gravidanza, magari in un villaggio dell’Ecuador”. L’amniocentesi è un’altra strada possibile, ma considerato il rischio di aborto della tecnica va valutata caso per caso.
Per ora non esistono né un vaccino né una terapia specifica e si agisce sui sintomi, ma a preoccupare sono le possibili complicazioni. Oltre alla microcefalia c’è la sindrome di Guillain-Barré (qui il report dell'European Centre for Disease Prevention and Control) , una patologia che colpisce il sistema nervoso di adulti e bambini, causando debolezza muscolare e progressiva perdita di sensibilità. La correlazione con lo Zika non è ancora stata confermata da studi scientifici, ma anche qui l’ipotesi si basa su dati importanti: tra gennaio e luglio, in Brasile, sono stati 121 i casi di problemi neurologici “sospetti”, individuati in pazienti che avevano presentato sintomi riconducibili allo Zika.
Nel frattempo le autorità sconsigliano alle donne incinte di recarsi nei paesi colpiti, ma è da El Salvador che arriva il messaggio più rigido: per ridurre il rischio, si sconsiglia di intraprendere nuove gravidanze fino al 2018. Non è l’unico paese a percorrere questa strada -anche Colombia, Ecuador e Giamaica si sono espressi in tal senso- ma è stato l’unico a chiedere cautela per due interi anni.
Come si trasmette
Le specie che trasmettono lo Zika sono già note come ospiti per altri Flavivirus (le cosiddette vector-borne disease mietono almeno un milione di vittime l’anno), ovvero A. aegypti e A. albopictus. Anche con lo Zika la prevenzione consisterà nell’eliminare i vettori e applicare le buone pratiche che già conosciamo: coprire il corpo il più possibile (con vestiti chiari), chiudere porte e finestre, usare i repellenti consigliati dalle autorità sanitarie, dormire protetti da zanzariere e non lasciare in giro acqua stagnante, un invito per le zanzare a deporre le uova.
L’unica via di trasmissione confermata è la puntura delle zanzare (oltre a quella prenatale), ma esiste la possibilità che lo Zika si trasmetta anche per via sessuale, rimanendo in vita nel liquido seminale come succede con il virus dell’Ebola. “Non sappiamo ancora se anche in questo caso il virus rimanga nello sperma per molto tempo”, dice Rezza. “È una possibilità, ma non è la norma”.
In attesa che anche quest’ipotesi venga validata, un’ulteriore via di trasmissione da monitorare risiede nelle donazioni di sangue. Uno studio condotto in Polinesia Francese ha scoperto che il 3% dei donatori (42 su 1.505) era positivo allo Zika anche se al momento della donazione non mostrava sintomi. I viaggiatori che hanno soggiornato nei paesi colpiti potrebbe essere infetti, per questo anche il nostro Centro Nazionale Sangue li invita a non donare per almeno 28 giorni dal rientro.
Geografia dello Zika
A oggi, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il virus ha raggiunto: Barbados, Bolivia, Brasile, Colombia, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guiana Francese, Guadalupe, Guatemala, Guiana, Haiti, Honduras, Martinica, Messico, Panama, Paraguay, Porto Rico, Saint Martin, Suriname e Venezuela. Su The Lancet un gruppo di ricercatori ha pubblicato il possibile modello di diffusione per lo Zika nei prossimi mesi, partendo dai dati sulla Dengue e integrandoli con spostamenti aerei, profili climatici e informazioni sull’ecologia delle due specie A. aegypti e A. albopictus.
E qui da noi? “Parlare di allarmi per l’Europa o l’Italia è un esercizio retorico”, tranquillizza Rezza. “Non si può escludere che si verifichi qualche caso per trasmissione locale, ma la densità di zanzare qui è molto inferiore rispetto ai paesi tropicali e subtropicali, e il clima è differente”, nonché aumenta -di poco- il rischio solo per il periodo estivo, quando fa più caldo. “Conosciamo la patologia e possiamo tenerla sotto controllo”, come è stato per i quattro casi italiani che risalgono ormai a un anno fa, pazienti che hanno contratto l’infezione in un viaggio in Brasile ma sono tutti guariti senza conseguenze. Lo Zika non è naturalmente presente in Europa e le priorità, per ora, rimangono nelle aree colpite. Migliorare la diagnosi della patologia e la prevenzione nelle fasi prenatali, oltre a controllare la densità delle zanzare, sarà di fondamentale importanza per limitare un’ulteriore diffusione