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Donne sindaco per imperativo morale

  1. #1
    Little Spongy Folletta
    Donna 32 anni da Genova
    Iscrizione: 8/12/2007
    Messaggi: 14,178
    Piaciuto: 4028 volte

    Predefinito Donne sindaco per imperativo morale

    Erano professioniste ben remunerate e non sapevano nulla di politica. In Italia queste quattro donne coraggio hanno preso le redini dell’amministrazione per lottare contro la corruzione e la mafia, ma soprattutto per difendere il bene comune dei paesi nei quali sono cresciute.
    L’ufficio è un viavai continuo di persone. Su una mensola c’è una delle molte targhe commemorative che cita una frase di Gianbattista Vico: “L’esperienza e il valore di pochi lasciano tracce indelebili”. La donna esce ed entra continuamente, senza mai perdere la calma ed ascoltando tutti. Fuori dalla porta l’aspettano pazientemente gli uomini della scorta, che la accompagnano da un anno e mezzo. Siamo a Rosarno, un paese di circa 16.000 abitanti nella Piana di Gioia Tauro, Calabria. La donna si chiama Elisabetta Tripodi: 44 anni, avvocato, madre di due figli adolescenti e sindaco del paese dalla fine del 2010.
    La prima volta che si è parlato di Rosarno fuori dell’Italia è stato nel gennaio 2010, quando centinaia di immigrati africani, impiegati nella raccolta di agrumi ed esasperati dalle condizioni di sfruttamento nelle quali versavano, scesero in piazza mettendo a ferro e fuoco alcune strade centrali. La risposta fu una caccia al nero con pattuglie bande armate, durata due giorni e due notti. Il fatto passerà alla storia come la rivolta di Rosarno.
    Invece in Italia Rosarno e la Piana di Gioia Tauro vengono associate da anni alla ’ndrangheta, oggi considerata la più potente organizzazione criminale italiana e la prima mafia globale grazie alla capacità di riprodurre la sua struttura all’estero, di stabilire relazioni con stranieri e, allo stesso tempo, di mantenere una base forte in patria. La Calabria è il luogo in cui la ’ndrangheta ha la sua origine e il suo fulcro.
    A otto mesi dall’inizio del suo mandato, in una mattina d’estate, la Tripodi riceve nel suo ufficio una lettera intimidatoria da parte di un condannato all’ergastolo appartenente a una famiglia mafiosa di Rosarno.
    “Esprimeva la sua delusione per alcune decisioni prese dalla mia giunta, nel concreto il fatto di esserci costituiti parte civile in un processo di mafia – ancora in corso – contro la cosca di Rosarno e di aver fatto sgombrare una casa abitata dalla madre del boss. Un edificio occupato abusivamente acquisito nel 2003 dal Comune e che le precedenti giunte non avevano liberato”, racconta la Tripodi. Indagini successive rivelarono che nella cella dell’uomo c’erano altre lettere dirette alla Tripodi.Lui è stato condannato a cinque anni.
    Quando nell’estate del 2010 un gruppo di amici proposero alla Tripodi di presentarsi come sindaco, all’inizio lei disse di no. La giunta precedente era stata sciolta per mafia, la situazione era tesa dopo la rivolta. Lei, che lavorava ancora come Segretario Comunale, non ha aveva nessuna esperienza politica. A Rosarno l’urbanizzazione selvaggia non è stata seguita da un miglioramento nei servizi, ci sono quartieri senza fognature e illuminazione pubblica.
    I clan della ‘ndrangheta – la struttura familiare è la sua peculiarità rispetto alle altre mafie italiane – controllano il traffico di droga e di armi grazie alla vicinanza del porto di Gioia Tauro, reinvestendo nel terziario, nell’edilizia, nel ciclo dei rifiuti, ovunque vi siano grandi interessi economici, imprenditori che possono essere corrotti o ricattabili e politici corrotti, sia in Italia che all’estero. In Calabria la disoccupazione giovanile si attesta al 40% e il 30% degli occupati lavora al nero. I giovani scappano. Dal 2003 a Rosarno nessuna giunta è riuscita a terminare la legislatura, una tendenza che la Tripodi vuole invertire.
    “Quando nel 1998 sono tornata in Calabria dopo aver vissuto 15 anni in Lombardia (volevo che i miei figli crescessero qui) ho visto che ciò che avevo lasciato era peggiorato molto. Mi resi conto che se avessi preso questa decisione avrei dovuto fare qualcosa per la mia terra. Percio’ alla fine decisi di presentare la mia candidatura”.
    Così la Tripodi prende le redini della comunità, con una coalizione di sinistra, cercando di portare avanti quello che ci si aspetterebbe da qualsiasi amministrazione pubblica: agire entro i confini della legalità, anteponendo gli interessi collettivi a quelli individuali.
    Affida appalti per la realizzazione di opere pubbliche, riscuote le tasse, si oppone alla speculazione edilizia, finanzia un centro sportivo – il paese non ne aveva -, riforma la scuola e fa montare una tendopoli per i lavoratori immigrati, anche se Rosarno continua a non esser capace di “accoglierli degnamente”.
    Cerca di razionalizzare le spese. Lei stessa si riduce di un 50% lo stipendio da sindaco, destinando l’altra metà alle politiche sociali.
    Se già in campagna elettorale l’opposizione la chiama “segretaria”, sminuendo il suo ruolo, ora la criticano – e non solo l’opposizione – perché lavora, “un’accusa che non è mai stata rivolta a un sindaco uomo”, afferma. La chiamano il sindaco degli africani, l’accusano di mentire sulle minacce ricevute.
    “C’è anche molta gente che resta in silenzio perché forse ha paura di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma che si identifica con ciò che sto facendo” afferma, ricordando un signore che, pochi giorni dopo che lei aveva ricevuto la lettera con le minacce, si è presentato in Comune chiedendo di poterle stringere la mano.
    Nel 2006 a Monasterace (circa 70 km a est di Rosarno, un’altra donna aveva ricoperto la carica di sindaco, animata da un sentimento molto simile a quello della Tripodi. Maria Carmela Lanzetta, 57 anni, farmacista, madre di due figli ventenni, definisce il suo ruolo come “il dovere morale dell’impegno”.
    Siamo sempre in provincia di Reggio Calabria, nella zona della Locride. Come a Rosarno, anche qui una volta sorgeva una città importante della Magna Grecia (la prima si chiamava Mesma, la seconda Kaulonia), e anche in questo caso siamo nelle vicinanze di un porto. Come la Piana di Gioia Tauro anche la Locride è sede di una ‘ndrangheta antica e forte, che a Monasterace ha fatto la sua fortuna grazie al contrabbando di sigarette durante gli anni sessanta e settanta .
    Come la Tripodi, la Lanzetta ha studiato e vissuto vari anni nel nord Italia ed è una donna di sinistra senza esperienza politica. “Sono tornata perchè pensavo che era necessario che i giovani calabresi potessero trovare lavoro qui, portando con sé le esperienze positive che avevano vissuto fuori”.
    Da quando è tornata ha lavorato nella farmacia di famiglia che sua madre gestita dalla madre nel paese dal 1954, prendendo parte e dando impulso ad attività sociali e culturali.
    A Monasterace mancano le risorse economiche e quelle umane. In Italia i tagli realizzati nell’ambito della spending review (d.lg. 5 luglio 2012, n. 95) del governo Monti, nel 2013 graveranno per circa il 50% sui Comuni. Appena insediatasi, la Lanzetta ha iniziato una ricerca disperata di finanziamenti pubblici “per qualsiasi cosa di cui il paese avesse bisogno”.
    Per il sindaco sono molto importanti il rispetto delle regole, la pianificazione urbanistica e il programma per il recupero edilizio. Fin dal primo giorno rinuncia a una parte del suo stipendio da sindaco.
    Nonostante le lotte politiche ed i contrasti interni, “in parte dovuti al fatto che non sempre siamo stati in grado di mediare”, nel maggio del 2011 la Lanzetta inizia la sua seconda legislatura. La notte del 26 giugno 2011, alcuni sconosciuti devastano e bruciano la sua farmacia, sopra la quale la Lanzetta vive con la famiglia (inclusa sua madre).
    “È stato terribile non solo perché è l’unico bene che abbiamo, ma soprattutto per l’impegno personale che la nostra farmacia ha sempre avuto nei confronti del paese e con i suoi abitanti più umili”. Le indagini sulla distruzione della farmacia sono in corso. La mattina dopo, grazie all’aiuto della comunità, la Lanzetta e la sua famiglia riaprono la farmacia in un edificio accanto e la vita riprende il suo ritmo consueto.
    Il 27 marzo 2012, alle undici di sera, la sua macchina viene colpita con quattro colpi di fucile. Non se ne accorge fino alla mattina successiva, quando, mentre sta andando al Comune, le cade in terra il cellulare. Quel pomeriggio il consiglio comunale si sarebbe occupato del problema di 60 donne che lavorano nelle serre di crisantemi per un’impresa privata che opera sui terreni comunali: 8 ore al giorno per 29 euro che non riscuotono dal 2010 (e ancora oggi non le pagano).
    La Lanzetta va comunque al consiglio. “Il problema di quelle donne doveva essere messo in evidenza. Sa cosa significa per una donna, madre e che vive in campagna, ricevere uno stipendo? Significa libertà, significa acquisire coscienza del proprio valore e quindi imparare a non abbassare la testa ”. La mattina dopo torna in Comune e dà le dimissioni. “Sentivo che non ero più libera di espletare le funzioni di sindaco, e senza libertà non è possibile”.
    Il paese intero si mobilita a suo sostegno “Alla fine ho capito che le mie dimissioni avrebbero mandato un segnale negativo allo Stato, e per il rispetto che ho nei suoi confronti ho deciso di continuare”. Mentre parla si muove in continuazione. La sua voce è tranquilla; lo sguardo stanco. “In questi setti anni sono invecchiata moltissimo, sembro un’altra”.
    Da sette mesi, la Lanzetta vive con la scorta. Come nel caso della Tripodi, significa che quando esce è accompagnata da due carabinieri e che deve usare un’automobile nella quale nessun altro può viaggiare. Quando sono a casa, un’auto della polizia vigila in strada. Per entrambe le cose più difficili a cui rinunciare sono state le piccole azioni quotidiane: per la Tripodi non portare il figlio a scuola, per la Lanzetta non poter andare al supermercato, o passeggiare in spiaggia, o prendere un caffè con un’amica. “Non voglio usare il servizio che lo Stato mi mette a disposizione per ciò che non ha a che fare con la mia attività di sindaco. Il resto ho smesso di farlo”, afferma la Lanzetta.
    Entrambe sentono che ci si può abituare alla scorta solo pensando che non durerà per sempre, e che solo grazie ad essa si può continuare a “mostrare in territori tanto difficili che lo Stato esiste, ed è più efficiente ed efficace di altre organizzazioni”, secondo le parole di Carolina Girasole, un altro sindaco calabrese.
    La Girasole, 49 anni, una laurea in Biologia conseguita a Roma, madre di due figlie adolescenti, è sindaco dagli inizi del 2008 di Isola Capo Rizzuto, un paese di 16.000 abitanti di un’altra zona calda della Calabria, il Crotonese. La ’ndrangheta è approdata in questa zona di mare negli anni cinquanta e sessanta, quando cominciò la costruzione di grandi complessi turistici. “La ’nrangheta possiede la grande capacità di capire subito che economia e politica vanno a braccetto”, spiega Enzo Ciconte, scrittore calabrese e considerato uno dei maggiori esperti italiani delle dinamiche delle associazioni mafiose.
    “Quindi fece due cose: da una parte offrì servizio di guardia, cioè una protezione, agli hotel, e dall’altro lato entrò nel Consiglio comunale di Isola”. Un Consiglio comunale sciolto nel 2003 per “infiltrazione mafiosa” e che fino al 2008 è stato amministrato quasi ininterrottamente da “commissari straordinari”. Come nel caso della Tripodi, la prima risposta della Girasole quando una nuova lista civica di sinistra le propone di candidarsi è un no deciso . Comproprietaria di un laboratorio di analisi cliniche in un paese vicino, la Girasole non ha nessuna esperienza politica. Ma, come le altre, sente la necessità di “mettere fine alla dinamica per cui tutto ciò che ti circonda non ti appartiene”.
    Se in un primo momento pensa di poter conciliare il lavoro in laboratorio con le responsabilità amministrative, fin dai primi giorni della legislatura queste ultime l’assorbono interamente. “Ci siamo ritrovati con un ente fortemente indebitato e completamente disorganizzato. C’erano molti procedimenti aperti ed errori di dipendenti le cui conseguenze erano ricadute poi sullo sviluppo del territorio”.
    L’amministrazione intraprende la riorganizzazione interna, cambiando le funzioni dei dipendenti per spezzare le clientele, e creando un ufficio legale. Si costituisce come parte civile in procedimenti di mafia. Lavora per restituire alla comunità gli immobili confiscati alla mafia ed abbandonati, così come i terreni sequestrati ma che in realtà continuavano ad essere occupati dai vecchi proprietari.
    Ottiene finanziamenti per recuperare i primi (le opere sono appena iniziate), mentre per gli 80 ettari di terreno agricolo è in via di costituzione una cooperativa creata con bando pubblico grazie alla sinergia del Comune, della prefettura, di associazioni di agricoltori e dell’associazione antimafia Libera.
    In quei terreni le scuole hanno realizzato un giardino di farfalle e ideato una Casa della musica, che il Comune sta realizzando. “Il fatto che i bambini possano usare questi terreni e farvi anche progetti, ci permette di parlare loro di questo tema”.
    Non ha più tempo da dedicare al laboratorio di analisi, ormai in perdita. Alla fine decide di venderlo.
    Sulle pareti del paese sono comparse minacce di morte nei suoi confronti. Varie automobili del Comune sono andate a fuoco, cosi’ come il portone del Muncicipio. “Molte persone che probabilmente hanno visto sfumare i propri interessi non sono più vicine a me e a mio marito. Molte altre hanno difficoltà nell’allearsi apertamente con me perchè sicuramente vengono attaccate per questo”, spiega con la concretezza e la determinazione che mostra in ogni circostanza. Francesco, il marito della Girasole, vende materiale edile e ha perso clienti. “La diffamazione e la solitudine sono il prezzo da pagare per la giustizia”, dice. “Credo che qui si sottovaluti quello che sta facendo mia madre”, afferma Federica, 18 anni.
    Lo Stato ha offerto la scorta alla Girasole. Lei l’ha rifiutata. “La scorta ti impedisce di muoverti nei luoghi dove si incontrano i cittadini: nei supermercati, in chiesa, dal parrucchiere, laddove, anche nei momenti più insoliti, è possibile spiegare i motivi di alcune scelte. Inoltre non ha senso che io venga scortata e il resto della mia famiglia resti scoperta”. La Girasole non nasconde di aver paura per la propria vita e per quella della sua famiglia.
    La ’ndrangheta non è solo un problema della Calabria. “Chi sostiene questa idea vuole occultare una realtà locale”, afferma Ciconte, che ha pubblicato il primo libro dedicato esclusivamente alla storia della ’ndrangheta. A Barcellona, Madrid, Algeciras, Malaga, solo per citare alcune città, è stata confermata la presenza di diversi clan (chiamati anche ‘ndrine) e sono stati catturati boss latitanti.
    Né la ‘ndrangheta è presente in tutta la Calabria. Nella zona del Reventino, in provincia di Catanzaro, il paese di Decollatura è storicamente una di queste isole felici. Si tratta di un paesino di montagna: 3.300 abitanti, un’economia di sussistenza e rurale dove dominano le piccole imprese.
    Dal 2011 il sindaco è Anna Maria Cardamone, 49 anni, economista, laureatasi a Messina. Ha rinunciato a un posto di direttrice amministrativa di una fondazione regionale finalizzata alla promozione dello sviluppo rurale per adempiere alla promessa fatta a un gruppo di giovani di centrosinistra e senza esperienza politica (in maggioranza donne) che volevano restituire al paese la “democrazia partecipativa”.
    “Ho detto loro: “Vi dò cinque anni, ma dovete essere voi i dirigenti che vinceranno le prossime elezioni”, racconta. Siamo nel suo ufficio del Comune, continua ad indossare il cappotto e si interrompe di tanto in tanto per tossire. Nonostante la neve che copre le strade del paese, nell’edificio non c’è il riscaldamento. “Dovevamo scegliere: la scuola o il Comune”, spiega. Cardamone si è ritrovata con un debito verso lo Stato e i fornitori di più di un milione di euro, che sta cercando di sanare evitando di aumentare le imposte. La sua strategia attuale è vendere beni in disuso, come vecchie scuole rurali.
    La sua prima azione è stata quella di togliere l’appalto alla società privata che gestiva i rifiuti (che costava al Comune quasi 200.000 euro l’anno), iniziando a farlo direttamente come Municipalità. Ora spende meno della metà, e con i soldi risparmiati ha potuto assumere (al momento solo part time) 12 persone che lavoravano per il Comune come precari da circa 15 anni. Inoltre ha comprato una macchina per la raccolta differenziata.
    Nonostante i contesti differenti, anche lei come le tre precedenti è una donna scomoda: “Come donna dovevo rappresentare la novità, un momento di passaggio per poi far ri tornare i soliti. Nella politica, che viene ancora pensata al maschile, si pensa che le donne siano più condizionabili, o isteriche, e che abbandonino prima”, pensa la Tripodi.
    Tutte loro hanno ricevuto o ricevono lettere anonime con consigli di lasciare il posto, e con la minaccia di rivelare “quello che hai fatto”, per esempio una presunta infedeltà nei confronti del marito, un reato o una frode. Le calunnie e le intimidazioni si sono anche spostate su internet, dove profili e gruppi di Facebook o blog anonimi ripetono la solita storia delle lettere (indirizzate anche ai loro familiari) e dei manifesti in cui sono rese pubbliche queste lettere, che tappezzano alcuni paesi. Non solo sono ladre e bugiarde, ma se occupano quel posto è “perchè sono state compiacenti con qualcuno”.
    Tutte loro, che in Italia hanno una certa visibilità nei media, vengono accusate di passare immeritatamente da eroine antimafia, o da paladine della giustizia, di offrire un’immagine negativa del paese e di strumentalizzare questo comportamento per fare carriera.
    Le quattro spesso comunicano tra loro e si appoggiano a vicenda. Nessuna pensa di rinunciare, anche se qualcuna, come la Lanzetta, ammette di pensarci ogni giorno. Non vogliono tradire la fiducia che ha riposto in loro chi le ha votate.
    Hanno avviato progetti a lungo termine, e temono che possano essere abbandonati in caso di loro rinuncia. La Girasole è in campagna elettorale per le amministrative del prossimo febbraio. Tutte quante insistono sull’importanza della battaglia contro la mentalità mafiosa, che per la Tripodi significa “vandalizzare ciò che è di tutti, e nel contempo volere che nessuno tocchi ciò che è tuo”. Il cammino, assicurano, passa attraverso il rafforzamento del lavoro nelle scuole, il rispetto della legalità, il coraggio di saper dire no.
    Le donne in Calabria svolgono storicamente un ruolo fondamentale nell’ambito familiare. Ed è proprio lì dove si costruisce e si perpetua la ’ndrangheta. Ciconte afferma: “Vinceremo la ’ndrangheta solo quando riusciremo a convincere le donne a frantumare le loro famiglie mafiose”.
    Può essere che qualcuno tema che le donne sindaco rappresentino un esempio per altre donne? Ciconte pensa di sì. Nessuna di loro considera il suo un atto di eroismo, e tutte insistono che l’intenzione di diventare sindaco non è stata assolutamente quella di ingaggiare battaglia contro qualcuno. Nessuna ha la priorità di essere simpatica alla gente, tutte vogliono fare del loro meglio. E tutte sentono che, se provano ad intimidirle, significa che hanno preso la strada giusta.
    (articolo pubblicato il 10 gennaio 2013)
    L'articolo è vecchio ed è possibile che ci sia qualche errore di traduzione, ma mi hanno colpito queste storie perchè se ne sente parlare sempre poco.. non so se la storia di queste donne sia stata citata dai mass media italiani, ma mi sembrava giusto pubblicizzarla ancora un po'.. Non tutti fanno schifo..
    Donne sindaco per imperativo morale | Italia Dall'Estero



  2. #2
    Risolvo problemi Winston Wolf
    Uomo 33 anni
    Iscrizione: 14/11/2006
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    Piaciuto: 185 volte

    Predefinito

    è interessante,ma data l'ora mi sono fermato alle prime 10 righe.se ci fosse allegato un video sarebbe stato meglio

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