Il video
Un'irruzione armata alla conferenza stampa, un viaggio verso la frontiera, un campo di rifugiati. All'Auditorium di Roma è stata presentata la campagna di raccolta fondi dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati . Pistole, urla e tensione. Mezz'ora di fiction che invece per milioni di persone è realtà. L'invito è quello di non immaginarla e basta.
ROMA - C'è una differenza tra casa, tana e rifugio. Tra essere rintanati, chiusi, al sicuro, o rifugiati. E' nella fuga. In una tana c'è tutto quanto si è accumulato, in un rifugio non c'è niente. Chi scappa arriva nelle nostre città senza bagagli per chiedere spazio. Poco spazio. Milioni di persone scappano da guerre che non conosciamo più. Che guardiamo da lontano. Potrebbe succedere anche a noi, rintanati senza bisogno di rifugio, eppure non è questo il punto. Il punto è che succede.
l significato universale dell'urlarti addosso. Sulla testa, sul collo. Un fucile visto da vicino è la prova dell'impotenza per chiunque non lo stia impugnando, rende inconsistente un collo, una testa, una gamba. I militari avevano scarpe grosse ai piedi, anfibi, divise, sguardi cattivi, voci grosse. Improvvisamente in fuga, siamo scappati tutti in fila, al buio, facendo piano. Il nostro silenzio contro le loro urla. Ci hanno imbarcato con i nostri fagotti, le valige mezze vuote. Siamo arrivati alla frontiera di un paese dove ci hanno perquisito, diviso, e ancora urlato contro. Qualcuno è sparito dietro i fucili, qualche collo si è piegato, qualche testa si è abbassata, qualche gamba è stata presa a calci. Le parole urlate sono uguali in ogni lingua. L'urlo è un linguaggio universale. Potremmo gridare tutti, o immaginarci farlo per venti minuti, non è questo il punto. Il punto è che succede. A noi oggi è successo per finta.
I fucili di plastica puntati contro. I fucili che ci hanno puntato in faccia erano di plastica, gli spari avevano un suono impotente, l'odore dei proiettili era quello delle miccette dei bambini. E come i bambini abbiamo giocato a fare tana. Siamo diventati rifugiati per venti minuti. Ma ci sono uomini di sette anni, come Jan Nawazi che oggi era alla conferenza stampa di Unhcr, che a nascondino ci ha giocato per diciassette anni prima di fare tana. Se da piccolo ti urlano addosso forse non è più possibile giocare. A guardie e ladri. Alla guerra o alla frontiera, all'avventura, agli indiani.
Dalle urla alla solidarietà. Siamo arrivati al campo profughi dopo pochi minuti. Alle urla si è sostituita solidarietà. La speranza di avere uno spazio anche se piccolo, in un paese nuovo. Forse acqua da bere, forse un posto per chiudere gli occhi. C'era una tenda e ci hanno messo dentro, in piedi, stretti. Hanno detto che ci avremmo passato la notte. Sapevamo di doverci passare centoventi secondi. L'odore di tanti che si schiacciano addosso, è la porta più rapida per poter immaginare altre vite. E non è importante che potrebbe succedere anche a noi. Conta che succede. Che non dura venti minuti, ma anni. A dire "da quanto sei al campo?", bisbigliando dentro la tenda, non è stato un altro rifugiato a tempo come noi, ma un attore. O forse no. "Sono appena arrivato", ha risposto qualcuno. Stava giocando. Ma forse no.
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Sto filmato mi ha messo un'ansia addosso...