L'AIDS in Europa? Curata peggio a San Pietroburgo che in Malawi
In Italia un sieropositivo su tre non sa di esserlo:
il network «Persone sieropositive»promuove il test per tutti
L’epidemia di Aids, nell’Europa dell’Est, è fuori controllo. In Russia, Ucraina e Bielorussia il numero di persone sieropositive per l’Hiv è triplicato dal 2000 a oggi, raggiungendo il milione e mezzo, e la mortalità è in aumento, in controtendenza rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo dove, invece, si sta riducendo. Colpa delle scarse possibilità di accesso alle terapie e alla prevenzione, dello stigma sociale e della mancanza di politiche sanitarie adeguate. L’allarme è stato lanciato a Copenhagen in occasione della conferenza internazionale «Hiv in Europe» promossa dall’«Hiv in Europe Iniatiative», un progetto pan-europeo, nato nel 2007 per migliorare la diagnosi e il trattamento precoci dell’infezione da Hiv in quest’area del mondo, e diretto da un gruppo di esperti indipendenti, con rappresentanti della società civile, dei professionisti della salute e delle istituzioni sanitarie. «L’anno scorso lo studio EuroSida – ha commentato il danese Jens Lundgren, co-fondatore dell’iniziativa – ha mostrato che, nei Paesi dell’Europa dell’Est, il 30 per cento delle persone sieropositive per l’Hiv e con un’infezione da bacillo della tubercolosi, muore entro 12 mesi dalla diagnosi e la causa è, nella maggior parte dei casi, proprio questa seconda malattia. Non solo: il dato è probabilmente sottostimato. Oggi l'accesso alle terapie anti Aids è peggiore a San Pietroburgo che in Malawi».
TUBERCOLOSI MULTIRESISTENTE - Spesso l’infezione tubercolare è provocata da micobatteri multiresistenti ai farmaci, il che rende l’eventuale terapia ancora più complessa. Il boom dell’Aids nell’Europa dell’Est è impressionante e richiede interventi immediati come, per esempio, la legalizzazione dei sostituti degli oppioidi per combattere il fenomeno delle tossicodipendenze (e quindi il rischio di trasmissione attraverso siringhe infette), ma il problema rimane anche nei Paesi dell’Europa occidentale e non va dimenticato. L’Italia, dove ancora oggi un terzo della popolazione infetta con il virus dell’Aids non sa di esserlo, sta attivamente promuovendo il test sulla popolazione ed è il primo Paese, in Europa, ad aver approvato un Documento di consenso che riafferma la necessità di eseguire il test, propone specifiche modalità di erogazione dell’esame e individua i destinatari sensibili ai quali rivolgere l’offerta (indispensabile proprio perché buona parte delle persone non sa di essere sieropositiva). Il documento è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni e adesso spetterà a queste ultime renderlo operativo.
I «GRANDI MINORI» - «L’Italia ha compiuto un passo importante – ha commentato Rosaria Iardino, presidente onorario del Network persone sieropositive (Nps) – nell’incentivare l’esecuzione del test, grazie all’approvazione del documento di consenso. Adesso dobbiamo applicarlo. L’unico aspetto che noi non condividiamo è la questione dei «grandi minori»: i ragazzi che vanno dai 16 ai 18 anni. Oggi il documento non permette loro di poter accedere al test senza il consenso dei genitori, mentre prima il consenso era previsto soltanto al di sotto dei 16 anni. In questo modo andremo a perdere una delle fasce più fragili, che non ha una reale percezione dei rischi della malattia».
Adriana Bazzi - Corriere.it