Ieri sera sono andata a vedere lo spettacolo teatrale della mia scuola, che trattava un argomento molto profondo e delicato: le madri che uccidono i propri figli.
Sono rimasta molto colpita. Ho pensato quasi di capire queste donne, di giustificarle.
Vi riporto un'intervista (leggetela tutta, altrimenti non rispondete neanche ).
Da l'intervista di Mariella Zezza a Adriana Pannitteri, autrice di "Madri assassine. Diario da Castiglione delle Siviere"
ROMA - 02/06/2006
Le donne rinchiuse nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Siviere sono solo madri cattive o nessuno ha saputo comprendere la loro sofferenza?
Cosa si nasconde dietro quella che gli psichiatri chiamano <<follia mostruosa della normaità>>?
Per la prima volta hanno accettato di rivelare ad un'altra donna, Adriana Pannitteri, una madre come loro, la loro storia di solitudinee malattia.
Perché queste donne hanno ucciso i loro figli?
Credo che la ragione profonda dell'omicidio di un figlio sia fondamentalmente l'annulamento di se stessi. Quasi sempre la madre uccide e tenta di togliersi la vita. Cancella ed annulla in ogni caso la parte di sé che rappresenta la nascita. A volte uccidere il proprio figlio sembra il solo modo per salvarlo. Per difenderlo da un nemico cattivo, immaginario, per non lasciarlo solo al mondo ed indifeso. Per proteggerlo. E' un delirio... Portare il proprio figlio con sè sembra l'unica via d'uscita dal tunnel della depressione. Queste madri vivono un disagio profondo. Sono donne che hanno bisogno di ricostruire la loro capacità di amare in modo sano. Sono malate. Non sono cattive.
Chi avrebbe potuto impedire il loro gesto?
A volte l'indifferenza della gente di fronte a malattie mentali è disastrosa. Se una donna manifesta un disagio si tende comunque a sottovalutare. I familiari dicon "passerà". La donna viene lasciata sola. Esiste una grande solidarietà rispetto a chi si ammala di tumore. Ma se una persona si ammala di depressione la gente non capisce o non vuole capire. Al massimo si accetta di prendere una pasticca per dormire. Il resto è tabù...
C'è stata una storia che l'ha fatta particolarmente riflettere?
Sono tutte storie che lasciano senza respiro perché ogni donna mi ha accompagnata nel suo dramma con un passo diverso. Penso a Manuela che ha ucciso la sua bambina di quattro anni a coltellate. Voleva proteggerla da un 'lupo cattivo' che era solo frutto della sua mente malata. L'ha stretta tutta la notte a sè nel lettone come un estenuante addio. Le ha fatto il bagnetto. Le ha preparato la colazione. Ripenso a Simona che ha annegato i suoi bambini di quattro anni e ventuno giorni in un laghetto e che è stata tratta in salvo da un uomo che portava a spasso il suo cane. Simona, una giovane madre del nord, bionda, con gli occhi verdi. All'apparenza una donna dura come una quercia. Ma - in verità - fragilissima...
Ha anche cercato di immaginare la condizione della vittima?
La diffcoltà più grande per me è stata quella di entrare nel racconto della loro sofferenza senza giudicare. Ma le emozioni erano troppo forti. Ho sentito un dolore quasi fisico. Ho provato una tristezza infinita per quei bambini che non sono stati salvati. Ho avuto rabbia nei confronti di chi è rimasto solo a guardare e alla fine ho capito che l'unico modo di vivere il mio rapporto con queste madri era non avere paura della follia.
Poi c'è una frase dello spettacolo che mi è piaciuta particolarmente: 'Quando dai la vita, dai anche la morte'.