Dieci, lunghissimi, minuti. Il tempo tecnico perché la farfalla esca dallo scafandro con le pupille dilatate dallo sforzo e quegli occhi neri, buoni e vivissimi, mobili come quando cercavano un pallone da arpionare in area. Oggi vanno a caccia di lettere, una per una, sul comunicatore oculare che sovrasta la sedia a rotelle. L'attesa è stata lunga: tre anni spesi ad accettare che la malattia gli sia entrata a gamba tesa sulla vita. Dieci minuti in più o in meno, ora, sono spiccioli. «Io, Stefano Borgonovo, sono malato di Sla. Ho aperto una fondazione per aiutare chi è nelle mie condizioni. Voglio trovare soldi per la ricerca: magari salta fuori la penicillina del 2008. Mi rifiuto di pensare che la Sla sia una malattia del pallone. Io, se potessi, scenderei in campo adesso, su un prato o all'oratorio. Perché io amo il calcio». Il nuovo Stefano, dentro, non è cambiato. Il male l'ha mangiato dall'interno senza scalfirne la purezza di intenti, la grana fina dei sentimenti, l'anima. Fuori, la sclerosi laterale amiotrofica l'ha plasmato come cera. I piedi tecnici della coppia Borgonovo- Baggio in viola, Stefano sotto i riccetti bruni e Robi vestito di talento alla fine degli anni 80, si sono stortati e non camminano più. I polpacci che regalarono al Milan la finale di Coppacampioni '90, decisivo gol al Bayern in trasferta, sono evaporati. Le mani che agguantarono tre presenze nella nazionale di Vicini, sono diventate adunche. Le parole furono le prime ad andarsene. Ottobre 2005. Stefano smozzicava le frasi. Il baco era appena entrato nel chip del campione.