Chi di voi ha studiato qualche lingua straniera abbastanza a fondo, sa che il passo più difficile, ma che porta a veramente avere padronanza della lingua consiste nel pensare in quella lingua. Smettere di tradurre e esprimersi direttamente in un’altra lingua. Questo passaggio è spesso molto difficile soprattutto perché lingue molto diverse sono strutturate in modo da far pensare anche in modo diverso, dando priorità alle azioni o agli oggetti, per esempio.
L’idea che il linguaggio sia strettamente legato con la nostra cognizione del mondo e che, quindi ,persone che parlano lingue diverse percepiscano il mondo in modo diverso è nota come Ipotesi di Sapir-Whorf. Questa ipotesi è chiaramente molto difficile da mettere alla prova, poiché popolazioni che parlano linguaggi diversi generalmente hanno anche una cultura e una struttura sociale molto diversa, di conseguenza è pressocché impossibile far risalire solo al linguaggio diversità che si manifestano in ogni aspetto della vita delle persone.
Da un punto di vista filosofico è un po’ come il paradosso dell’uovo e della gallina: è perché possiamo descrivere un concetto che esso esiste, o lo possiamo fare solo perché questo concetto esiste in modo assoluto? Secondo il filosofo tedesco Immanuel Kant, per esempio, il linguaggio altro non è che un mezzo dell’uomo per esprimere la natura che gli sta intorno, che esisterebbe nello stesso modo anche se non ci fosse nessun uomo a descriverla.
Essendo quindi il linguaggio semplicemente un mezzo creato dalla mente per percepire un qualche cosa di assoluto, esso può essere differente da persona a persona, e può anche trasmettere idee diverse al singolo individuo, pur facendo riferiento allo stesso oggetto identico.
Nella prima metà dell’800 due studiosi chiamati Edward Sapir e il suo studente Benjamin Lee Whorf presero il lavoro di alcuni linguisti precedenti e cercarono di capire se effettivamente il linguaggio causa una differente concezione del mondo. Essi studiarono diverse popolazioni di nativi americani, con lingue di ceppi moto differenti, e notarono che in qualche modo la lingua e la società erano strettamente legate.
L’interpretazione più estremista dell’idea di Whorf, chiamata anche “whorfianismo” sostiene che la nostra mente non può proprio concepire un concetto se questo non è propriamente descritto dalla nostra lingua. Della serie, cercate di imparare più parole possibili, perché se non sapete una parola potrebbe voler dire che il vostro cervello non riesce nemmeno a pensare a quel concetto.
Una delle prove che vengono portate dai sostenitori di questa teoria è l’osservazione di alcune popolazioni amazoniche, il cui linguaggio non prevede il concetto di numero. Per loro esiste soltanto: un poco, abbastanza e tanti. Ad alcuni individui di questa popolazione sono stati messi davanti un certo numero di rocchetti di filo. Dopo un po’ la persona doveva restituire allo scienziato lo stesso numero di palloncini. Ebbene, gli abitanti di questa tribù delle amazoni non sono stati in grado di restituire il corretto numero di palloncini. Ci si avvicinavano, restituivano “circa” lo stesso numero, ma non quello giusto.
Ognuno di noi per restituire il numero giusto di palloncini dovrebbe contare il numero di rocchetti, perché la mente umana non può ricordarsi un numero superiore a quattro senza contare (già cinque diventa immediatamente tre e due). Questa popolazione amazonica però non è in grado di contare perché non ha le parole per contare, non concepisce nemmeno il concetto di numero.
Lo studio fatto sulla popolazione amazzonica può risultare fuorviante in quanto tratta numeri, e non parole. Qualcuno può pensare che conoscere i numeri o conoscere le parole non sia la stessa cosa. Invece lo è, poiché la matematica non è altro che un altro linguaggio, è la lingua più appropriata che l’uomo ha concepito per descrivere concetti di tipo, appunto, numerico.
Avendo studiato fisica mi sono sempre stupita di come la matematica, un agglomerato astratto di ragionamenti umani, possa effettivamente trovare riscontro nella natura. Eppure lo fa brillantemente, a partire dall’algebra alla geometria non euclidea. È nato prima il concetto o il nostro modo di descriverlo?
Questa interpretazione del pensiero di Whorf è, però, alquanto estremista. Più probabilmente quello che egli intendeva era semplicemente che il linguaggio si forma in base alle necessità della societàsi sviluppa parallelamente. Come un cane che si mangia la coda, la società si evolve in una direzione solo se il linguaggio le permette di raggiungerla, ma il linguaggio si evolverà per esprimere un concetto solo se la società ne sentirà il bisogno.
Probabilmente la geometria non euclidea, che quando è stata “inventata” non aveva applicazione nella fisica, non poteva descrivere nessun fenomeno, era semplicemente la conseguenza logica di quello che era stato studiato fino a quel momento. L’applicazione, per esempio per descrivere l’evoluzione dell’universo, è venuta dopo: ci siamo trovati già in tasca un ottimo metodo per descrivere qualcosa di non descrivibile. Questo mi porta a pensare che non è esattamente vero che non possiamo concepire un’idea se non abbiamo un linguaggio per descriverlo. Piuttosto si tratta di scalini successivi, sviluppiamo in parallelo linguaggio e idee, perché ognuno si appoggia sull’altro.
Detto questo, si ha la strada spianata per parlare di intelligenza artificiale e di linguaggio tra l’uomo e la macchina, ma questo, magari, lo tratteremo in un altro post…


Possiamo pensare ciò che non sappiamo dire? - Appunti Digitali