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VILLARI RESISTE, PRESIDENTE VIGILANZA CONTRO TUTTI
ROMA - Riccardo Villari non si dimette da presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Porta avanti imperterrito la prima riunione della bicamerale che elegge vicepresidenti e segretari, ignora la candidatura di Sergio Zavoli che non gli sarebbe stata comunicata; risponde picche
all'espulsione dal Pd ("é una decisione unilaterale e molto poco democratica"); non sembra ascoltare gli appelli istituzionali dei presidenti delle Camere Fini e Schifani e poi anche del presidente del Consiglio e sembra pronto a convocare la commissione per martedì prossimo.
Alla fine di una giornata convulsa il premier Silvio Berlusconi dice: "Maggioranza e opposizione hanno condiviso e concordato la designazione del senatore Zavoli a presidente della commissione. Il senatore Villari può dirsi soddisfatto di avere in fondo contribuito a determinare queste condizioni e può quindi serenamente rassegnare le dimissioni convinto così di rendere un servizio alle istituzioni".
Ma lui resta fermo nella sua posizione così come ha fatto per tutta questa settimana di passione, da quando giovedì scorso è stato eletto con i voti del Pdl alla presidenza della Vigilanza in un pasticciaccio politico di rara entità.
Alle 14 in punto entra deciso in Commissione e porta a termine il suo primo compito da presidente: l'elezione di vicepresidenti (Giorgio Lainati e Giorgio Merlo) e segretari (Enzo Carra e Luciano Sardelli). Poi affronta l'ufficio di presidenza con sotto il braccio la bozza del regolamento delle prossime elezioni amministrative in Abruzzo che in serata invia imperterrito a capigruppo ed Agcom e ne informa il dg Rai Cappon.
Sfida la tempesta e dice: "Ho deciso di mantenere il ruolo che mi è stato affidato legittimamente". Lo spiega al termine della riunione nella quale chiede anche "alla politica dei partiti di fare un passo indietro", e precisa che, pur avendo "la massima stima e considerazione per il senatore Zavoli", si sente a sua volta "un esponente e un uomo del Partito Democratico". Insomma rimane per rispetto delle istituzioni e denuncia la "lunga sequenza di pressioni, minacce e offese inaccettabili".
Il Pd lasciando la riunione annuncia che non parteciperà più ai lavori fino a quando Villari non si sarà dimesso. "Passiamo dall'ammuina alla sceneggiata", commenta il ministro ombra delle comunicazioni Giovanna Melandri. L'Udc spiega che sarà il direttivo a decidere mentre l'Idv già da oggi tiene fede alla sua decisione di non essere a San Macuto.
Non c'é Zavoli: "Aspetto di sapere e capire che cosa succederà ma non voglio fare analisi né dare giudizi affrettati", dice il candidato bipartisan alla successione di Villari che sull'ipotesi di sue dimissioni dalla Vigilanza aggiunge: "Non giochiamo a discreditare la politica".
La politica invece s'infuria per la fermezza di Villari, il Pd lo espelle, perché invece di favorire una soluzione s'impunta sul ruolo ma è con qualche difficoltà che il Pdl affronta il superamento sul nome del presidente. Da parte sua Walter Veltroni sostiene che dopo l'intesa su Zavoli "ora il problema non è mio ma in casa della destra, che se vuole lo risolverà" e al telefono avrebbe chiamato il presidente della Camera Gianfranco Fini annunciandogli non solo la futura assenza in Vigilanza, ma anche opposizione dura nelle aule parlamentari. Fini, nel suo ruolo istituzionale e nella linea del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che più volte sul tema ha chiesto di non mortificare il Parlamento con un ulteriore
stallo, fa appello a Villari "perché sacrifichi le ragioni giuridiche che certamente ha" sull'altare della responsabilità politica. "Un appello molto giusto" anche per l'Udc Pierferdinando Casini.
Solo più tardi interviene il presidente del Senato Schifani spiegando che il compito del neo presidente della Commissione di Vigilanza "si è positivamente concluso con l'eliminazione della situazione di stallo". Poi la dichiarazione di Berlusconi chiamato in causa da Veltroni, ma Villari, tramite ufficio stampa, fa sapere che sta procedendo nel suo lavoro di presidente. La questione ora è, se non si dimetterà e continuerà a lavorare, cosa farà il Pdl che lo ha eletto e che in Vigilanza ha i numeri per decidere in solitudine - come ha fatto proprio per lui - anche per la nomina dei sette componenti del Cda Rai. Tra le poche certezze, l'impossibilità di ratificare con voto bipartisan il presidente indicato dal ministero del Tesoro.
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