Uomini in pensione più tardi?
Per la Ue è una discriminazione
Per i dipendenti pubblici la diversa età per l'accesso alla pensione di vecchiaia - 60 anni per le donne e 65 per gli uomini - contrasta con uno dei principi del Trattato Ue, quello che vieta discriminazioni, basate sul sesso, nella retribuzione. La Corte di giustizia Ue, con
la sentenza nella causa C-46/07 promossa da Bruxelles, chiede dunque all'Italia di rimuovere l'elemento discriminatorio, pena una nuova procedura di infrazione e una nuova condanna "in automatico", accompagnata questa volta da una sanzione economica.
La pronuncia della Corte di giustizia si riferisce solo alle pensioni dei dipendenti pubblici gestite dall'Inpdap. Qual è il ragionamento dei giudici del Lussemburgo? Sulla base di una giurisprudenza consolidata le pensioni dei dipendenti pubblici, una categoria particolare di lavoratori, sono qualificate come «retribuzione». Il trattamento corrisponde infatti a tre requisiti: c'è continuità per quanto riguarda il datore di lavoro, è «direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati» e l'importo è calcolato in base all'ultima retribuzione. In questo modo, il trattamento è considerato «comparabile» a quello «che verserebbe un datore di lavoro privato ai suoi ex dipendenti».
A nulla è valsa la precisazione del Governo italiano, che ha segnalato come, a seguito della riforma previdenziale il trattamento - calcolato con il sistema retributivo - tiene conto della media delle retribuzioni percepite in un certo arco temporale e dei relativi contributi. Secondo la Corte, infatti, rispetta il criterio di commisurazione allo stipendio anche una pensione il cui importo è calcolato sulla base del valore medio della retribuzione percepita durante un periodo limitato nel tempo e riferito agli anni immediatamente precedenti il pensionamento.