Occidente. Il trionfo della mediocrità
Quando la libertà diventa irresponsabilità cade ogni difesa contro gli abissi del decadimento umano. Così nel 1978 Solzenicyn vide lucidamente la deriva di una società che fa di ogni sua pulsione un diritto...
di Aleksandr Solzenicyn
Pubblichiamo alcuni passaggi di Un mondo in frantumi, il discorso che Aleksandr Solzenicyn pronunciò l’8 giugno 1978 all’università di Harvard davanti a 20 mila persone.
In conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma d’esistenza che le era più comoda e che io definirei giuridica. I limiti (molto larghi) dei diritti e del buon diritto di ogni uomo sono definiti dal sistema delle leggi. A forza di attenersi a queste leggi, di muoversi al loro interno e di destreggiarsi nel loro fitto ordito, gli occidentali hanno acquisito in materia una grande e salda perizia (ma le leggi restano comunque così complesse che il semplice cittadino non è in grado di raccapezzarcisi senza l’aiuto di uno specialista). Ogni conflitto riceve una soluzione giuridica, e questa viene considerata la più elevata. Se un uomo si trova giuridicamente nel proprio diritto, non si può chiedergli niente di più. Provate a dirgli, dopo la suprema sanzione giuridica, che non ha completamente ragione, provatevi a consigliargli di limitare da se stesso le sue esigenze e di rinunciare a quello che gli spetta di diritto, provatevi a chiedergli di affrontare un sacrificio o di correre un rischio gratuito… vi guarderà come si guarda un idiota. L’autolimitazione liberamente accettata è una cosa che non si vede quasi mai: tutti praticano per contro l’autoespansione, condotta fino all’estrema capienza delle leggi, fino a che le cornici giuridiche cominciano a scricchiolare. (…)
Io che ho passato tutta la mia vita sotto il comunismo affermo che una società dove non esiste una bilancia giuridica imparziale è una cosa orribile. Ma nemmeno una società che dispone in tutto e per tutto solo della bilancia giuridica può dirsi veramente degna dell’uomo. Una società che si è installata sul terreno della legge, senza voler andare più in alto, utilizza solo debolmente le facoltà più elevate dell’uomo. Il diritto è troppo freddo e troppo formale per esercitare un’influenza benefica sulla società. Quando tutta la vita è compenetrata dai rapporti giuridici, si determina un’atmosfera di mediocrità spirituale che soffoca i migliori slanci dell’uomo. E contare di sostenere le prove che il secolo prepara reggendosi sui solo puntelli giuridici sarà per l’innanzi sempre meno possibile.
È ora che affermiate i vostri doveri
Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio fra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. Un uomo politico che voglia realizzare, nell’interesse del suo paese, una qualche opera importante, si trova costretto a procedere a passi prudenti e perfino timidi, assillato da migliaia di critiche affrettate (e irresponsabili) e bersagliato com’è dalla stampa e dal Parlamento. Deve giustificare ogni passo che fa e dimostrarne l’assoluta rettitudine. Di fatto è escluso che un uomo fuori dell’ordinario, un grande uomo che si riprometta di prendere delle iniziative insolite e inattese, possa mai dimostrare ciò di cui è capace: riceverebbe tanti di quegli sgambetti da doverci rinunciare sin dall’inizio. Ed è così che col pretesto del controllo democratico si assicura il trionfo della mediocrità.
Per contro è cosa facilissima scalzare l’autorità dell’Amministrazione, e in tutti i paesi occidentali i poteri pubblici si sono considerevolmente indeboliti. La difesa dei diritti del singolo giunge a tali eccessi che la stessa società si trova disarmata davanti a certi suoi membri: è giunto decisamente il momento per l’Occidente di affermare non tanto i diritti della gente, quanto i suoi doveri.
Al contrario della libertà di fare il bene, la libertà di distruggere, la libertà dell’irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d’azione. La società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro l’utilizzazione delle libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch’esso una libertà, il cui contrappeso teorico è la libertà per i giovani di non andarli a vedere. Così la vita basata sul giuridismo si rivela incapace di difendere perfino se stessa contro il male e se ne lascia a poco a poco divorare.
E che dire degli oscuri spazi in cui si muove la criminalità vera e propria? L’ampiezza dei limiti giuridici (specialmente in America) costituisce per l’individuo non solo un incoraggiamento a esercitare la sua libertà ma anche un incitamento a commettere certi crimini, poiché offre al criminale la possibilità di sfuggire al castigo o di beneficiare di un’immeritata indulgenza, grazie magari al sostegno di un migliaio di voci che si leveranno in suo favore. E quando in un paese i poteri pubblici affrontano con durezza il terrorismo e si prefiggono di sradicarlo, l’opinione pubblica li accusa immediatamente di aver calpestato i diritti civili dei banditi.
La stampa, impenitente guardona
Anche la stampa (uso il termine “stampa” per designare tutti i mass media) gode naturalmente della massima libertà. Ma come la usa?
Lo sappiamo già: guardandosi bene dall’oltrepassare i limiti giuridici ma senza alcuna vera responsabilità morale se snatura i fatti e deforma le proporzioni. Un giornalista e il suo giornale sono veramente responsabili davanti ai loro lettori o davanti alla storia? Se, fornendo informazioni false o conclusioni erronee, càpita loro di indurre in errore l’opinione pubblica o addirittura di far compiere un passo falso a tutto lo Stato, li si vede mai dichiarare pubblicamente la propria colpa? No, naturalmente, perché questo nuocerebbe alle vendite. In casi del genere lo Stato può anche lasciarci le penne. Ma il giornalista ne esce sempre pulito. Anzi, potete giurarci che si metterà a scrivere con rinnovato sussiego il contrario di ciò che affermava prima.
La necessità di dare un’informazione immmediata e che insieme appaia autorevole costringe a riempire le lacune con delle congetture, a riportare voci e supposizioni che in seguito non verranno mai smentite e si sedimenteranno nella memoria delle masse. Quanti giudizi affrettati, temerari, presuntuosi ed erronei confondono ogni giorno il cervello di lettori e ascoltatori e vi si fissano! La stampa ha il potere di contraffare l’opinione pubblica e anche quello di pervertirla. Così, la vediamo coronare i terroristi del lauro di Erostrato, svelare perfino i segreti della difesa del proprio paese, violare impudentemente la vita privata delle celebrità al grido “Tutti hanno il diritto di sapere tutto” (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n’è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l’uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affatto bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti).
Giornalisti in nome di chi?
È nella stampa che si manifestano, più che altrove, quella superficialità e quella fretta che costituiscono la malattia mentale del XX secolo. Penetrare in profondità i problemi le è controindicato, non è nella sua natura, essa si limita ad afferrare al volo qualche elemento di effetto.
E, con tutto questo, la stampa è diventata la forza più dirompente degli Stati occidentali, essa supera per potenza i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma chiediamoci un momento: in virtù di quale legge è stata eletta e a chi rende conto del suo operato? Se nell’Est comunista un giornalista viene apertamente designato dall’alto come ogni altro funzionario statale, chi sono gli elettori cui i giornalisti occidentali devono invece la posizione di potere che occupano? E per quanto tempo la occupano? E con quale mandato?