(espresso)
Non si salvano nemmeno macellerie pescherie e panetterie Crollano i consumi: niente più scarpe, niente più vestiti, né materiale per il tempo libero. I pugliesi fanno a meno ormai di tutto. Rinunciano con difficoltà al cibo, ma anche rispetto agli acquisti di alimentari le priorità e soprattutto le modalità stanno cambiando. Lo dimostrano i dati forniti dal Registro delle imprese della Camera di Commercio di Bari: è una vera moria di negozi e non si salvano nemmeno le macellerie, le pescherie e le panetterie.
Ieri l´Istat ha pubblicato l´ultimo rapporto sul valore delle vendite del commercio al dettaglio. In tutta Italia, in aprile, l´Istituto di statistica registra un crollo dei consumi pari al 2,3 per cento: in particolare, gli italiani tagliano le spese soprattutto per i beni non alimentari, le cui vendite sono scese del 3,4 per cento, mentre gli acquisti in cibo sono scesi dello 0,8 per cento. La zona in cui la situazione è sicuramente peggiore è il Sud, dove le vendite sono crollate in media del quattro per cento. I dati Istat non smentiscono l´ultima rilevazione di Unioncamere sulle vendite nel 2007: la Puglia lo scorso anno ha accumulato perdite nelle vendite di beni non alimentari pari al 2,6 per cento. Per il cibo i pugliesi preferiscono stringere la cinghia per non dovervi rinunciare: gli acquisti infatti si mantengono sostanzialmente stabili. "Ma anche per gli alimentari le priorità stanno per cambiare – dice Pino Salomon, della associazione consumatori Adoc di Puglia – In cima alla lista delle spese ci sono inevitabilmente le bollette, se è vero che in Puglia ormai viene tagliata anche l´acqua se i conti non sono saldati. E in questo senso è necessario che il commercio stesso cambi". In Puglia, come in tutto il Mezzogiorno, gli alimentari vengono ancora acquistati al chilo: cosa che da tempo non succede più in altre regioni italiane. "I negozianti pugliesi dovranno abituarsi – dice Salomon – alla richiesta di una mela o di 250 grammi di pane. Senza considerare che un ritocco ai prezzi ormai è necessario".
Logiche e dinamiche nuove del commercio, che costringono gli esercenti ad adeguarsi o a essere espulsi dal mercato. Dall´inizio dell´anno, soltanto a Bari sono centinaia i negozi che hanno dovuto chiudere i battenti. Complessivamente sono 552 gli esercizi commerciali al dettaglio che hanno dichiarato la cessazione di attività e 444 quelli all´ingrosso. A questi si aggiungono 60 rivendite di autovetture, 165 esercizi legati al mondo delle costruzioni e tre relativi alla produzione di energia elettrica, gas e calore. Ma è nel numero dei negozi al dettaglio ormai chiusi che si scopre una tendenza estremamente negativa. A Bari da gennaio a oggi hanno dovuto abbassare le saracinesche quattro negozi di frutta e verdura, 13 macellerie, quattro pescherie e cinque panetterie-pasticcerie. Non sono immuni dalla crisi nemmeno le rivendite di prodotti per l´igiene personale: sono 21 le profumerie ed erboristerie che risultano chiuse. Mentre quasi un centinaio sono i negozi di abbigliamento che hanno dovuto dichiarare la cessazione di attività. Stessa sorte per 30 negozi di scarpe e accessori. Della crisi del mobile si sa e a Bari sono state finora 46 le rivendite che hanno chiuso, mentre 16 sono i negozi di elettrodomestici e 22 le ferramenta ormai espulse dal mercato. Persino gli ambulanti con posto fisso, i venditori dei mercati, hanno chiuso la partita Iva in 59 nei primi mesi di quest´anno. "Ormai i consumatori preferiscono – spiega il rappresentante dell´Adoc – le grandi gallerie commerciali, ipermercati inclusi, dove si risparmia tempo e denaro".
Ma non è sempre così. Una delle più grandi società di commercio di Bari, la Asc, cui fanno capo otto negozi di scarpe, fra cui la ditta Fortissimo e il megastore di Modugno, sta vivendo una crisi legata al crollo dei consumi con perdite pari a 357mila euro dall´inizio dell´anno. E questo ha costretto l´amministratore Angelo Paoletti ad avviare la procedura di licenziamento per 34 dei 93 dipendenti e a chiudere il magazzino del Baricentro: per ridurre i costi di gestione le forniture avvengono direttamente ai punti vendita. La Asc ha già raggiunto un accordo con i sindacati: la fuoriuscita del personale sarà su base volontaria incentivata e l´azienda si è impegnata, nel caso di una ripresa del mercato, a riassumere i lavoratori messi in mobilità.
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L'Italia lamenta la crisi e il crollo dei consumi. Ma poi spendiamo 1.7 miliardi di euro per dare da mangiare a cani e gatti. Una contraddizione?