C’è una sospetta reticenza a parlare di tasse in questa campagna elettorale. A dire meglio, tutti ne parlano scaricando sugli altri la volontà di aumentarle una volta al governo, ma nello stesso tempo allontanando da sé il sospetto di nuovi balzelli. Solo Bertinotti ha avuto l’onesta intellettuale (e la libertà politica) di dire quello che è nelle cose e che una classe dirigente seria affermerebbe in tutta tranquillità, cioè che la politica fiscale è lo strumento più importante di distribuzione del reddito tra le categorie sociali e nello stesso tempo è la prova tangibile che quanto si promette in campagna elettorale avrà poi le risorse sufficienti alla loro realizzazione.
E’ evidente che Prodi e Berlusconi, sulle politiche fiscali, hanno scheletri negli armadi e al posto della chiarezza gettano la polvere sotto il tappeto, tanto poi si vedrà.
La ripresa dell’economia italiana, non più rinviabile se si vuole agganciare la crescita ormai consolidata negli altri paesi europei, avrà costi e imporrà sacrifici rilevanti.
Governare la ripresa economica dal lato della domanda, come vuole Berlusconi con la riduzione delle tasse, ha indubbiamente una sua astratta coerenza ma fa i conti con l’onerosità del nostro Stato sociale.
Quindi Berlusconi non dice che dietro la riduzione fiscale da lui declamata c’è un ridimensionamento dello Stato sociale. I governi inglesi, da un ventennio a questa parte, l’hanno già fatto e continuano a farlo, dalla Lady di ferro a Blair. In Francia in questi giorni di ribellione è in gioco proprio un fondamento dello Stato sociale, il lavoro fisso. In Germania un’altra signora di ferro, la Merkel, sta iniziando a metter mano alle inefficienze dello Stato assistenziale. Perché Berlusconi non lo dice? Glielo vieta il suo populismo?
Sull’altro fronte, la riduzione del cuneo fiscale di Prodi a vantaggio del sistema produttivo, necessita di un riequilibrio della tassazione delle rendite che, per un paese a rendite diffusissime come il nostro (dalle case di proprietà ai bot) equivale a un aumento della pressione fiscale.
Morale della storia: sia che si voglia agire dal lato della domanda e dei consumi (Berlusconi), sia dal lato dell’offerta e delle imprese (Prodi), il Paese è chiamato a dare un contributo in termini di riduzione della “socialità” nel primo caso, oppure in termini di sensibile aumento della fiscalità, nel secondo.
Cosa serve di più al Paese, la riduzione del Welfare e meno tasse oppure più tasse per sostenere Stato sociale e sviluppo economico?
Questo è il dilemma e questo è lo scheletro nell’armadio.