TOKYO - La prima differenza tra Giorgetto Giugiaro e il resto del mondo è che quando dice "vorrei farmi una Ferrari", lui non parla di comprarsela - impresa già ardua per quasi tutti noi - ma di costruirsela proprio: con le sue mani. La seconda differenza è che lui, la sua Ferrari, se l'è fatta in un quarto d'ora. Tanto ci ha messo a disegnare con il suo portamine blu la linea della GG 50, la sua personalissima versione della più celebre delle automobili italiane, un pezzo unico che alle cinque di stasera i giapponesi avranno il privilegio di vedere per primi, nel quartier generale della Bridgestone, quando sarà sfilato il drappo di seta che custodisce ancora per poche ore i segreti di questo gioiello.
Non bisogna farlo sapere qui a Tokyo, ma per Repubblica Giugiaro ha fatto un'eccezione, mostrandoci in anteprima la "sua" Ferrari. E adesso siamo qui a parlarne, mentre lui ogni tanto si avvicina al prototipo per accarezzarne il muso, provare le maniglie e dare un'ultima sbirciata alla plancia. Davvero l'ha disegnata in un quarto d'ora? "Beh, sì. Io faccio sempre così: butto lì uno scarabocchio e poi si vede".
Quello che lui chiama, con disarmante modestia, "uno scarabocchio" è in realtà un disegno quasi perfetto, che contiene già tutte le linee fondamentali della GG 50: il muso grintoso, la coda secca, i fari a virgola, il parabrezza senza confini che diventa tetto, la profilatura ondulata che esprime potenza.
Per capire come diavolo faccia Giugiaro a buttar giù uno "scarabocchio" così geniale in quindici minuti, bisogna tornare indietro al 1950. Ovvero a quando l'uomo della Panda, della Golf, della Uno e della Punto era ancora un ragazzino e aveva un vago desiderio di fare il pittore. Come nonno Luigi, che affrescava le chiese. Come papà Mario, specialista in decorazioni sacre. Il padre, però, aveva capito che dipingere dava soddisfazione, ma disegnare per l'industria dava un lavoro. Così iscrisse Giorgetto, dodicenne, a un corso serale di disegno tecnico.
La mattina a scuola, la sera pure. E ogni pomeriggio papà Mario, implacabile, pretendeva pure un disegno: un ritratto, un paesaggio, una natura morta, qualunque cosa purché fosse fatta bene. Quel padre così esigente regalò al figlio la naturalezza del tratto e la velocità dell'esecuzione: "Facevo tre disegni in un pomeriggio, così li consegnavo uno alla volta e mi guadagnavo due giorni di partite al pallone".
La storia della Ferrari di Giugiaro comincia nel 1962, quando lui disegnò una 250 GT per Bertone. Quello, però, lo ha sempre considerato un lavoro su commissione: gli è rimasto, nel cassetto, il sogno di disegnare, un giorno, una sua Ferrari. Un anno fa, al salone di Parigi, lo confidò al vicepresidente di Maranello, Pietro Ferrari. "Si può fare, parliamone con Montezemolo" disse quello. E Montezemolo approvò: "Le daremo una 612 Scaglietti. Lavori con la massima libertà. Io le dico solo due cose. Primo, una Ferrari dev'essere una Ferrari. Secondo, mi piacerebbe che riuscisse a darle una sensazione di maggiore compattezza...".
Così, un pomeriggio di febbraio, Giorgetto Giugiaro s'è messo al tecnigrafo e ha buttato giù il suo "scarabocchio". Ripensandoci, adesso, dice non è stato poi così difficile, "visto che l'unico cliente che dovevo accontentare ero io stesso". E quel cliente aveva già le idee chiare. "Non volevo una macchina rivoluzionaria. Volevo darle la mia impronta, è naturale, ma in assoluta coerenza con lo stile classico Ferrari. Montezemolo diceva che la voleva più compatta? E io l'ho accorciata di 9 centimetri, aumentando l'effetto con l'arrotondamento degli spigoli del muso e della coda: così l'occhio non trova più la cresta del parafango che definisce nettamente la fine della fiancata, ma una linea continua che corre lungo tutta la vettura, rendendola - per chi la guarda - ancora più compatta".
Certo, la novità più vistosa è il passaggio dal "tre volumi" della Scaglietti al "due volumi" della GG 50, con una coda fastback resa più aggressiva da un alettone dalla curva dolce. Ma colpisce anche quel tetto in vetro fotocromatico, che si fonde con il parabrezza creando un'inedita superficie continua, trasparente e affascinante. Il resto è dominato da una sobria semplicità, fondata più sul togliere che sull'aggiungere. I fari si assottigliano in due virgole grintose, la fiancata scorre fluida fino ai due passaruota posteriori, sottolineati come se fossero i muscoli di questo atleta d'acciaio.
Il cofano è solcato da una V appena accennata che ne alleggerisce la forma, mentre il frontale è delimitato da due ampie prese d'aria verticali. La sorpresa è in fondo, nel portellone posteriore, perché ora anche il lunotto si solleva con lo sportello, spalancandosi su un bagagliaio capace di superare - abbattendo i sedili posteriori - il traguardo dei 500 litri, numeri da station wagon.
Ma la prima, inevitabile sensazione che si prova avvicinandosi alla Ferrari GG 50 è che anche stavolta Giugiaro è riuscito a compiere il prodigio di infondere la seduzione, quella miscela magica di elementi che suscitano il desiderio del possesso, nelle lamiere rosse di questa macchina tuonante. Eppure non c'è verso di cavargliene il segreto. Anzi, lui vorrebbe convincerci di non aver fatto nulla di straordinario. "Montezemolo ha ragione: una Ferrari deve essere sempre riconoscibile come una Ferrari. Dunque questa macchina non cambia i canoni di Maranello. Io ho lavorato molto sul frontale, sulla coda, sulle linee della fiancata, ma in fondo ho preso un po' qua e un po' là, tra le tante suggestioni che fanno parte del mito Ferrari. Forse deluderò chi si aspettava una Ferrari rivoluzionaria. Sono quelli, dico io, che non sanno ascoltare la musica, e confondono Bach con Beethoven".
Il vero grande peccato della GG 50 è che l'unico possessore di questo capolavoro sarà l'uomo che l'ha creato: la Ferrari non trasformerà questo prototipo in una fuoriserie. Giugiaro sorride: "Considero già un grande premio aver avuto un telaio della macchina più prestigiosa del mondo, e aver potuto costruire un prototipo tutto mio. Poi, certo, ciascuno di noi vorrebbe che il proprio lavoro non andasse sprecato. Però non mi illudo. A me piace avere la testa tra le nuvole ma i piedi per terra. Ogni tanto, magari, i piedi diventano più leggeri.. ".