Il magenta è un colore che non fa parte dello spettro ottico: cioè la sua tonalità non può essere generata con luce di una singola lunghezza d'onda.
Prima parte _ Magenta
Cresce.
Cresce, senza un perchè. Domande inutili, risposte superflue.
Alzo gli occhi, attratto da una nuvola che inghiotte il sole, mentre gli ultimi raggi schizzano qua e là come le note di un vecchio giradischi.
Il gran carro della pioggia ne assorbe l'anima, e li incatena a sé.
Promette pioggia, un bell'acquazzone si profila all'orizzonte: presto sarà qui, non è conveniente fermarsi troppo a lungo.
Ma possiamo restare ancora qualche minuto; il tempo di domare la furia gioconda di Marie e di riempirmi i polmoni dell'aria rigonfia che precede il temporale, satura di quell'animalesco istinto che impone la ricerca di un rifugio.
Dove diavolo sarà finita la piccola?
Mi alzo dal tappeto d'erba, che s'era deciso finalmente ad abbracciarmi come un'amante, facendo forza sulle ginocchia.
L'improvviso cambiamento di luminosità non giova di certo alla mia vista: le pupille si dilatano violentemente, proprio come la bocca di Liza aveva fatto appena la sera prima.
La bamboccina sta giocando nell'erba, tra i rami più appuntiti. Dannazione, il ripetergli che lì non deve andare non fa altro che attirarla, manco l'avessi presa e lanciata direttamente tra i rovi. Dopo frignerà per qualche minuscolo taglietto provocato dai rovi disidratati, e sarò io a dovermela sorbire.
Poveri rovi.
Il parco della città di certo ha visto periodi migliori. Io e Jacob venivamo qui di continuo, da piccoli, a prenderci a *****tti contro quei dannati del rione orientale. Ora, con tutti questi rovi secchi e disidratati, un passo falso potrebbe far perdere un occhio al primo marmocchio abbastanza avventato da avvicinarsi più del dovuto.
L'idea mi inquieta non poco, e decido di chiamare Marie usando un tono di voce più teso del solito. Andiamo, è il momento di esser severi.
<Marie! Marie! Allontanati da lì, immediatamente. Sai che non devi andare a giocare da quelle parti.>
La piccola ha un sussulto, ma non sembra per niente spaventata o intimorita dal mio tono di voce. Anzi, ride, quasi non avessi aperto bocca.
Mi irrita non poco, ma è Marie.
Un lampo scuote il cielo e i suoi occhi si sbarrano, grandi e azzurri, quasi come un'istantanea di quel cielo grigio senza nuvole che avevamo sulla testa pochi minuti prima.
Con la coda dell'occhio noto una grossa goccia di pioggia, quasi un frammento di nuvola.
Le cade sulla spalla bagnandole i boccoli castani, che mi erano costati l'ira di dio e che avevo pagato appena il giorno prima.
Poi l'acqua si infiltra attraverso i capelli e le bagna il vestitino nuovo, l'altro supplizio per le mie finanze, comprato appena la settimana scorsa.
Alza la testa e mi guarda, con quegli occhi azzurri sempre sbarrati e adesso anche strangolati dalle lacrime.
D'improvviso mi pare di osservare la scena in terza persona, come se avessi lasciato il mio corpo indietro per poter assaporare una visione d'insieme.
Quegli occhi, di quell'azzurro cielo, si scagliano contro il magenta dell'abitino da donnina che indossa.
Quel colore mette in risalto la profondità dell'azzurro, mi perfora, mi giudica l'anima.
<Papà!>
Il mio corpo mi riassorbe, come fossi un detenuto al termine dell'ora d'aria.
Ho uno strano sussulto, i ricordi si accavallano tra i miei capelli, mi accarezzano il cranio, intorbidiscono i miei pensieri.
Guardo Marie che frigna.
Le prendo la manina, il tempo di giocare è finito.
<Su, fiamma, adesso entriamo in macchina o ti rovinerai il vestito e la pettinatura!>
Mi volto indietro, mentre la piccola mi segue reticente e, come al solito, lamentandosi.
Il vento burrascoso smuove i vecchi cespugli di rovi secchi.
Sembra quasi un saluto.
O una pena.
Fine Prima parte.