premetto che è un po' lunghina...ma è quello buttato giù.
è l'indolenza. L' ora. L'emicrania
dei pensieri gessati nel quadrante
bianco del tempo equinoziale. L'arte
dei sentimenti. L' odio, la coscienza
dell' incredulità, del mio preciso
essere donna delle tre, rotante
fra le esatte lancette della luna.
Tu, l'invisibile, come nessuna
bella, accigliata, virginale, nera
giovane suora sadomaso, magica
guaritrice matriarcale
delle sue falliche nevrosi.
Giro di chiave dei suoi cupi, ansiosi
genitali rifugi. Gonna, gonna
su cilindriche coscie incolonnate
nel tabernacolo del transfert. Morso
di un' ecauristica aritmia di frasi.
Tu di certo non fumi. Segui. Taci
la rapsodica danza dei neuroni,
il tenebroso sole delle ore
ritagliate dai farmaci, le nuove
equazioni dei riti seminali.
Tu dipani la frangia su un guanciale
di meretrice candida, votata
alla marcia del sonno. Giri il mondo
cavalcando discinta sulle sfere
dei suoi cortocircuiti, sorvolando
il rogo ascetico dei lapsus, strega
di sciagure salvifiche, formale
sicario di perfetta redenzione.
Tu non hai connotati. Non hai nome
che ti cinga la mente. Non hai niente
di me nella tua calda
sarabanda di rondini slavate
quando gli porgi grafici di voce
come garofani carnali, e croce
fei del tuo fianco.
Chi come te sa modulare il tango
della verginità provvidenziale?
Chi può così sapientemente
farsi crocifisso di quiete? Chi ripete
con tanta impudica sinuosità
la litania della genuflessione?
Chi sa troncare la sua confessione
deflorando la scala di giacobbe?
Chi sa battere il tempo del suo requiem
con tacchi a spillo così levigati?
E puoi giacere su di me, perfetta
come un inalterato manichino
in uniforme d'infermiera. Vera,
autentica e falsa come Giuda,
tanto tu non eiaculi, non sudi
mentre mi pianti ai lati delle tempie
i tuoi elettroidi a forma di preghiere.
Noi due, all'estremità del tuo rasario
lungo, tellurico come la costa
del lungomare incaico. Tu, composta
fra i tarocchi del sesso. Noi confessi,
quaccheri, evangelisti, protestanti
riformati, contriti, inginocchiati
in un pericoloso autodafè,
sulla fronte l'autografo di cenere
ed una dedica di Torquemada.
E nella bocca nera, sigillata
il peccato di sempre.
è la notte, la calma della notte
dai cavalli d'argento macellati
in sacrificio al Dio della necrosi,
quando al vento si muovono nervose
bandiere di morte. è l'ossessione
di cercare le impronte digitali
della tua criptica affabulazione,
lo sgabello indecente dove svetta
la tua torre d'avorio in giarrettiere.
E la figlia di Sion, la Lola-Lola
dall'affilato cuore di lamè,
porge le palme delle mani al sole
...
-cin cin - levando il calice macchiato
di rossetto e di fragola al dolore.