Una rosa là, nel prato
Dalle altre si distingue
È bella, troppo bella
Le sue spine son dettagli
Lungo quel gambo vellutato,
I petali la corona
Di una principessa incantata.
Ondeggia la sua forma,
Segue il vento
Che dolcemente
Danza con lei,
Zittite le onde
Dal suo soave fruscìo.
Scende la pioggia
Con la sua freschezza
Disseta la nobile sete
Del delicato zaffiro blu.
Ma ecco il cielo geloso
Credendo una stella di vedere
Vi lancia macigni di ghiaccio
Per poterla tradire.
Con le foglie spezzate
Invoca aiuto
Lanciando intorno
Inchini di dolore.
Un’ala bianca
Appare splendente in cielo
Come una stella
Dietro di sé lascia una scia,
Dolce aura,
Luce pura.
Spiega il suo manto
Come neve candido,
E la principessa blu
In esso si ripara.
Male fanno le scaglie di vetro
Che il niveo uccello feriscono,
Ma esso non vi bada
Perché un miracolo sta preservando.
Il dono dell’universo
Davanti ai suoi occhi
Pare un diamante celeste
Che della sua bellezza risplende.
Il cielo ormai arreso
Davanti a quella forza
Che è l’amore,
Dona con rispetto
Un raggio di luce in onore.
L’ormai stremato alato
Guarda con dolcezza
Lo splendore da lui difeso
E sorride di gioia
Di fronte alla sua integrità.
Le ferite guariscono,
Il fiore cresce,
Ed ogni giorno
S’avvicina più alle stelle
Il suo petalo celeste.
Insegna all’uccello
Come per ella è ordinario
Tra i suoi petali guardare,
Fra le pieghe del cuore
I sentimenti ascoltare.
Il volatile affascinato
Impara in fretta
Ed ascolta il cuore
Che verso il blu
Lo fa volare.
Nefasto giorno
In cui colta venne
Da tenera mano
In convulsa stretta.
Dal gambo reciso
Una goccia cadde
Di purpurea linfa,
La quale sulla bianca penna piovve
Dell’impotente angelo caduto,
Segnandone il destino
Ed il pensiero.
Rubina lacrima
Che mai se ne andò
Perché profonda
L’ala, il pensiero,
Il cuore marchiò.
Disperato l’uccello
In cerca partì
Della sua rosa
Che segnato l’avea.
Quanto cercò l’essere alato
Fra l’onde del mare
Nei cumuli nebbiosi
Tra foreste abbandonate
In città affollate.
Le proprie piume lasciò
Troppo d’intralcio per lui
Che nella ricerca
Impegnato era.
Ovunque guardò
Ed eccola lì,
Sul grigio davanzale
Essa si ergea,
Non più blu
Ma cinereo era il suo manto,
Curvo il gambo,
Secchi i petali e le foglie.
Straziato da tanto dolore
Con fatica le proprie ali
Nuovamente indossò,
Per proteggere il fiore
Da quel mondo meschino.
La mano maledetta
Ormai s’era scordata
Della bellezza da essa rovinata,
E agiata una finta margherita carezzava
Senza vita e senza amore.
Piccole gocce di rugiada
Che il niveo angelo coglieva,
Sulle sue ali si posavano
Per poi scivolare tra i petali
La rosa blu guarirono pian piano,
Donandole nuova luce,
Nuova forza.
A tale spettacolo
Le dita si voltarono,
Con il tradimento sotto le unghie
Sgualcivano i petali,
Ne succhiavano la luce
Con gli occhi vitrei e bramosi.
Per riempire il proprio vuoto
Le mani si dissetavano
Lambendo lo stelo,
Suggendone la linfa.
Ed ogni notte
L’angelo bianco tornava
Con le ali piene di luce serena
Ed il cuore colmo d’amore.
Con essi la risvegliava,
La riempiva nuovamente di vita
Per poi tornare ogni sera,
Al calar delle tenebre
Quando le mani si coricavano
E nessun male più facevano.
Molte volte l’uccello chiedeva alla rosa
Se potesse riportarla nel prato
Dove si erano incontrati,
Dove avevano imparato ad amare,
A vivere felici.
Allora la rosa rispondeva,
Piena di malinconica nostalgia,
Con i petali stretti tanto
Che il povero uccello
Attraverso non potea vedere
Come pure cogliere
ciò ch’essi celavano:
"Sono ormai una rosa grigia
Solo tu mi ricordi cos’ero,
Ciò mi serve a donar vita ad altri,
A mani vuote che tanto cercano affetto.
Se per questo devo sbiadire,
È destino che vuole."
Con queste parole
L’ala dell’angelo bianco ebbe un fremito
La ferita che sembrava fosse guarita
Era di nuovo lì
A ricordar cosa fosse il dolore.
Ma il candido era troppo deciso
Troppa strada aveva compiuto
Per arrendersi così.
Ascoltava il proprio cuore
Come il fiore gli aveva insegnato.
Nella fede e nella speranza
Esso perseverava.
Le foglie cadevano e nascevano,
Si susseguivano la luna e il sole
Senza sosta,
Inesorabilmente,
Monotoni.
Ma non tutto era immobile
Nel suo alternarsi.
Lentamente i petali della rosa
Per la sua stanchezza
Stavano schiudendosi,
Non riuscivano più a velare
A stringere in una dolce morsa
I sentimenti del cuore.
Il pallido volatile scorgeva sempre più
Fra le pieghe della grigia corona,
Un piccolo petalo blu.
Quel piccolo cuore di zaffiro
Come una stella brillava
E chiamava aiuto
Per uscire, per liberarsi,
Per tornare donde era venuto.
Con quell’immagine fissa nella mente
L’uccello bianco si convinse.
Non avrebbe mai abbandonato quel piccolo petalo,
Quella speranza di felicità
Nel grigiore di quel davanzale.
Avrebbe pazientemente aspettato
Il giorno che il cuore avesse vinto la mente,
Che l’amore si fosse manifestato
E il piccolo petalo blu tuonato d’emozione.
Due semplici parole avrebbe aspettato:
“Portami via”.
E con una gioia infinita nel cuore
Si sarebbe alzato in volo
Fino a rubare alle stelle
La luce per la sua rosa.
Portandole un cuore luminoso
Le avrebbe sussurrato…
…ti amo.