Nel tepore di una gaia mattina,
un giovane salice chinava la chioma
poggiando le foglie sopra un ruscello,
In mezzo al verde della piana emiliana.
Aveva piovuto per l' intera notte,
ma in quel risveglio l' occhio amico del sole
scagliava conforto sui casali e le piante,
rifocillando la vegetazione.
Le creature si salutavano,
chiacchierando sulle proprie fatiche.
Transitavano gruppetti di oche,
spettegolando sul ballo allo stagno
e sulla grazia spocchiosa del cigno.
Ma il nostro albero restava curvo,
come immerso in un silente dolore,
scuotendo ancora delle lacrime calde
ricadenti sulle molli rive,
al che l' acqua del torrente pasciuto
si commosse e rallentò il suo passo,
cercando il modo più educato e discreto
per intraprendere un qualche discorso.
"Perché disperi?" chiese ad un tratto
"Non vedi che è giunta la primavera
e il freddo invernale è memoria di ieri?
Non vuoi unirti all' allegro convivio
dei pettirossi e dei fiori mattinieri?"
"Ahimè, non mi vedi?" rispose l' altro
"Natura mi ha reso fragile e piegato
che ad ogni umore d' un tempo bizzoso
tutto mi agito, vacillo e cedo.
Sempre basso e vergognoso è il mio sguardo,
E più non mi fido del fango e del cielo.
Eppure il mio cuore pulsa forte ogni ora
non meno di quello di una solida quercia,
ma mai neanche un passero su di me si posa:
Son troppo fragili le mie braccia
Per elargire sicurezza o fiducia."
Dopo una pausa l' acqua riprese:
"Cieco compagno di tale sorte,
le chiome che chini son tanto folte
da ricoprirti la vista dolente,
però in ogni istante le tue arboree dita
scendono dolci sulla mia bocca
e, benché scorra e non sia mai la stessa,
porto con me la tua linfa imbelle
nel lento tragitto che va alla foce,
dove con le altre acque mie sorelle
Cantiamo di giubilo in una voce.
Così quel che cedi io vado cullando,
lungo i misteri del nostro mondo,
e se i sorrisi mi mancheranno
mi sazierò del tuo solo pianto,
facendone un ciclico, immortale ricordo."
Questa fu l' ultima eco accorata
Della corrente che s' incamminava.
Poi la quiete, uno stormire lontano,
Fruscii di cespugli presso il terreno.
All' improvviso un sussurro di vento
attraversò i ciuffi d' erba serena
e mosse i capelli del salice triste
aprendogli un varco sopra la fronte.
Lo notò solo una gazza ladra
che, andando in cerca di un luccichio,
s' imbattè nella luce leggiadra
di quel fogliame scampato all' oblio.
Agli altri uccelli riferì sorpresa:
"D' ogni tesoro che ho bramato e ghermito
mai potrò prendere il più prezioso,
che rende unico il nostro regno:
Amore immane che bagna e trattiene,
che si rinnova con le stagioni,
finché la vita non avrà fine
E rimarremo nelle sue mani."
però in ogni istante le tue arboree dita
scendono dolci sulla mia bocca
e, benché scorra e non sia mai la stessa,
porto con me la tua linfa imbelle
nel lento tragitto che va alla foce,
dove con le altre acque mie sorelle
Cantiamo di giubilo in una voce.
Così quel che cedi io vado cullando,
lungo i misteri del nostro mondo,
e se i sorrisi mi mancheranno
mi sazierò del tuo solo pianto,
facendone un ciclico, immortale ricordo."
I discorsi diretti,le personificazioni di cose o animali mi riportano alla mente le novelle di Fedro.
Comunque se devo essere sincero non mi piace seppur sia scritta molto bene,sono molto restio ai discorsi diretti in certi tipi di composizioni,credo sviliscano il lessico,seppur in questo caso sia mantenuto a un livello non troppo elevato.
Inoltre ho notato che è molto diverse da quelle da te scritte in precedenza,e se devo essere sincero le preferivo.
Sì è vero, è un componimento diverso da quelli che scrivo di solito, sono stato influenzato da alcune letture, come certe favole di O. Wilde, in cui gli elementi della natura interagiscono, ho provato a sperimentare ceri spunti in poesia, e mi è venuta così. In ogni caso, la rileggo sempre con piacere.