Su consiglio della mia prof ho mandato questo tema ad un concorso.. non essendo stato scelto, decido di proporvelo così mi dite che ne pensate
Il vuoto (--> il titolo è meno originale del resto!)
Caro diario, non scrivo spesso ma stavolta è per così dire diverso perché il peso delle parole fa pressione sul cuore tanto da sentirmi morire.
Tre mesi fa, SONO STATA VIOLENTATA. Ecco, l’ho detto.
È venerdì, quando Luca e Sara mi propongono per il sabato sera il solito cinemino più pub; ovviamente Luca mi passerebbe a prendere a casa e mi riporterebbe.
C’è però un problema: Federica mi ha chiesto di passare a casa sua per darmi qualche esercizio di arpeggio per la chitarra. A questo punto chiedo agli altri di venirmi a prendere ad Alba, alla solita fermata davanti al distributore; anche perché sai quanto sia lontana casa di Fede, non avrebbero saputo come arrivarci!
È buio, sono le 21 e sò che nella strada di ritorno non ci sarà nessuno (nonostante sia sabato) quindi affretto il passo e mi guardo intorno, pronta a scappare ad ogni evenienza.
Arrivo alla fermata ma Luca e Sara non ci sono. Aspetto. Non c’è anima viva.
Passa una macchina, rallenta e si accosta a me.
Hai presente quei tipi molto poco fini che di solito hanno la musica da discoteca a palla?
Ecco, come “genere” l’opposto. A bordo ci sono due signori di circa 45 anni che cercano una via; non la conosco, saluto gentilmente e se ne vanno. Luca e Sara stanno arrivando, o almeno così mi dicono.
Adesso non sono più allerta, tutto sta “andando liscio” e l’unica cosa a cui penso è la bella seratina che mi attende.
E qui inizia l’incubo, anzi inizia la privazione di me stessa; perché da un incubo ci si risveglia ma quando ti tolgono la dignità ,la voglia di vivere, ecco quando questo accade, non vorresti svegliarti ma “dormire di un sonno eterno”.
Ma torniamo al nostro racconto, o come lo vogliamo chiamare.
Sono alla fermata quando ad un certo punto vedo tornare la macchina di prima; i due si presentano e mi invitano ad andare con loro in un locale lì di fronte.
Ovviamente rifiuto, prima cortesemente e quando si fanno insistenti anche un po’ scocciata; a questo punto scendono dalla macchina e io arretro sempre più velocemente fino ad una corsa senza mèta.
Dura veramente poco, però il mio spirito da leonessa, uno mi è alle spalle e l’altro mi blocca la strada davanti.
Non ho scampo, sono il doppio di me, urlo ma non c’è nessuno in giro e mi danno un colpo in testa che mi fa rinvenire solo 5 minuti dopo o giù di lì.
Siamo in un parchetto, non lo riconosco. Cerco il cellulare invano. Me l’hanno già preso.
Poi.. poi vuoi che ti racconti anche questo? Vuoi davvero che ti dica com’è stata la mia prima volta?
Va bene, ti accontento.
Iniziamo dagli assenti: mancava Riccardo, mancava l’amore, mancavano l’imbarazzo e la dolcezza di chi non sa bene che fare. E poi mancavano le mie grida d’aiuto, io, così combattiva fino a 2 minuti prima, ora soccombevo davanti alle loro violenze.
Dimenticavo, mancava parte di me stessa quando tutto è finito.
Però c’erano loro, c’erano quei.. come chiamarli? Bastardi è riduttivo ma va bene così.
Dicevo, c’erano loro, che mi dicevano che le ragazze con carattere li eccitavano ancora di più, che mi trattavano come il giocattolo che ci si passa tra amichetti e che mi hanno buttata in mezzo alla strada con reggiseno e mutande come fossi un sacco della spazzatura.
A quel punto ero sola, in mezzo al nulla del paese e al vuoto della mia anima.
Una macchina mi è passata accanto e Marco, questo il nome del conducente, credendomi una prostituta, mi ha fatta salire. Non gli c’è voluto molto però, per capire che non era quello il motivo per cui stavo sul ciglio della strada.
Mi ha prestato il cellulare, ma non sapevo che fare, chi chiamare; Luca e Sara? I miei? Riccardo? I Carabinieri? Cos’avrebbero pensato vedendomi così? I Carabinieri mi avrebbero creduta? In fondo ero accanto ad un cliente di prostitute in reggiseno e mutande.
E poi, a che serviva denunciare se tanto poi quei due si sarebbero fatti qualche mese in carcere e poi per un qualunque motivo sarebbero potuti essere liberi? Perché non evitare almeno quel dolore? E la gente, mi avrebbe creduta o additata per strada come “quella che se l’è cercata?”? E Riccardo? La nostra prima volta che non era più nostra?
Sai, la cosa che fa più male è che non pensavo alla violenza subita ma a tutti i danni che mi avrebbe ulteriormente portato il fatto di denunciarla.
Alla fine ho chiamato tutti, li ho aspettati con Marco che, dopo le prime titubanze, ha deciso di starmi accanto e dare la sua “versione” ai Carabinieri.
Arrivano tutti ed eccoci lì, davanti alla Caserma a guardarci negli occhi senza nulla da dire.
Perché cosa c’è da dire in momenti del genere? Mi dispiace? Ti siamo vicini? Non è stata colpa tua?
No, non è questo che ti dà la forza di denunciare ma quel nulla che senti dentro e che gli altri, per quanto possano starti accanto, non capiranno mai.
Sono passati 3 mesi, uno è stato identificato e si farà 7 mesi di carcere perché incensurato, l’altro è svanito nel nulla; io e Riccardo ci siamo lasciati e io, così seguita da psicologi, medici di vario tipo e dalle “cure” costanti di amici e famiglia, non riesco ad avere contatti fisici con nessuno.
Ho scaraventato la chitarra con tutti quei maledetti esercizi dentro un cassonetto e ogni tanto ho ancora gli incubi.
Fingo di stare bene, di essermi ripresa ma ssono consapevole che certe ferite non si rimarginano; smettono di sanguinare ma basta una piccola “scossa” per farle tornare a far male.
Tornare a scuola è stato doloroso, ho deciso di non parlarne alla maggior parte dei miei compagni e di non dirlo ai professori ma la differenza tra me e loro la sento.
Ho quasi 18 anni e non per mia scelta non riesco più a sorridere delle piccole cose che rendono la vita degna d’essere vissuta. E fa ancora più male sentir parlare di argomenti come la violenza sulle donne e vedere indifferenza negli occhi di molti e/o totale disinformazione negli occhi degli altri.
Secondo te, come dovrei concludere questo “racconto”? Con parole di speranza o di dolore?
Sinceramente, lo concludo con le lacrime agli occhi e nient’altro da dire.