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Originariamente inviata da
drkheart
Toh, eccoti un bell'articoletto da "Repubblica"
«Tu sei come me», dice il vampiro dodicenne al coetaneo umano che ha appena scoperto la sua natura. È vero: se potesse, il bambino Oskar ucciderebbe i bulli che lo picchiano e lo insultano. Ma vive nel mondo degli uomini e deve sottostare alle sue regole: per questo si limita ad accoltellare un albero, fingendo che si tratti del suo persecutore. Il vampiro Eli non ha costrizioni e può uccidere, ma soltanto per continuare a vivere. Questo è il momento rivelatore di Lasciami entrare, uno dei migliori film sui vampiri degli ultimi tempi, tratto da un romanzo che affronta con oscura delicatezza il tema dei ritornanti. Film (di Tomas Alfredson) e libro (di John Ajvide Lindqvist) sono entrambi svedesi e prediligono al colpo di scena e agli effetti speciali la normalità di un'amicizia fra disperati. Senza redenzione finale: Eli è e resta un predatore, e anche quando gioca con un cubo di Rubik le sue unghie sono incrostate di sangue. La feroce malinconia della storia ha avuto riscontri più che positivi: il film, da pochi giorni nelle sale italiane, ha collezionato premi su premi, e un remake americano a firma di Matt Reeves è già in lavorazione. Il libro, pubblicato in Italia da Marsilio e uscito nel 2004 in Svezia, ha elevato allo status di autore di best-seller un ex-prestigiatore ed ex-cabarettista di Stoccolma. Il merito di Lidqvist, però, non è soltanto quello di aver portato agli onori delle classifiche l'horror svedese («L'horror non è poco comune nel mio paese,» ha dichiarato lo scrittore alla rivista Horror Magazine, «non esiste proprio. Anche se io ho avuto tanto successo coi miei libri, continua a non esserci nessun altro romanziere dell'orrore, in Svezia»). Soprattutto, Lindqvist ha restituito dignità, valore simbolico e potenza mitica alla figura stessa del vampiro. Mai così diffusa, soprattutto in Italia.
Mai così tradita.
La parola 'vampiro', nei tempi recenti, si associa infatti a una fisionomia ben precisa: ha i capelli color bronzo, lo sguardo ardente e le buone maniere di Edward Cullen, principe più adatto al castello di Biancaneve che a quello di Dracula. La tetralogia di Twilight, di cui è protagonista, creata da Stephenie Meyer, è da mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti, complice l'uscita del film tratto dal primo volume e il quasi contemporaneo arrivo in libreria dell'ultimo capitolo della saga, Breaking Dawn. Cullen beve solo sangue animale e rispetta gli umani: qualcosa di inedito, e forse di profondamente sbagliato, nella letteratura fantastica.
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Cullen incarna l'esatto contrario. Invece di essere portatore di una non-morale, ne ripristina una. Invece di spezzare le norme comunitarie, se ne fa portatore: è integrato nella società umana, impone il matrimonio alla sua amata Bella, rimandando il contatto sessuale a dopo le nozze, non intende farne una sua simile mordendola. E, non casualmente, il sole, indispensabile agli umani e fatale per i non-morti, non lo uccide, ma lo fa brillare come un gioiello.
Nel libro è tutto spiegato. Lui sa di essere un assassino, è la sua natura, ma non lo accetta. E' convinto che essendo diventato un non-morto non-vivo, sia dannato. Quindi vuole in qualche modo cercare di rimediare per salvare la sua anima, ammesso che esista. MAtrimonio poi sesso, ai suoi tempi (ha circa 100 anni) funzionava così. Non vuole morderla perchè significherebbe privarla della sua anima. (Il vampiro che vuol fare il buono.. è un classico!)
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E di contagio parla Lindqvist: ne fa, anzi, uno dei punti di forza di Lasciami entrare. Eli diffonde il male, anche se suo malgrado. Contagia il suo ex-protettore umano, un pedofilo ossessionato dal desiderio di possederla, al punto di non trovare requie neanche dopo la non-morte. Contagia Virginia, una donna alcoolista, che respinge il suo nuovo status e cerca volontariamente la fine esponendosi alla luce (il sole, qui, consuma la pelle dei vampiri come acido). Non contagia Oskar: non fisicamente, almeno, anche se una delle pagine più belle del romanzo è dedicata al timore del bambino di essere diventato un vampiro (o di essere un omosessuale, quando scopre che Eli non è esattamente una femmina). L'influenza di Eli è semmai mentale: perché, dopo averla incontrata, Oskar troverà il coraggio di reagire, anche con la violenza, ai suoi aguzzini.
C'è una parola serba, ocajinik, che in tempi lontani indicava il morto che torna e che ora significa semplicemente 'infelice'. Il portatore di contagio fa paura ed ha paura, perché è solo. La solitudine unisce Eli e Oskar. La solitudine è quella che affligge gli zombi di un altro magnifico romanzo di Lindqvist uscito per Marsilio, L'estate dei morti viventi. La solitudine condanna coloro che si allontanano dal contesto sociale, come dimostra Gianfranco Manfredi in un altro romanzo sul tema, Ho freddo, uscito per Gargoyle, dove l'autore risale alle origini storiche del vampirismo dimostrando come la rabbia e la paura degli umani producano catastrofi peggiori di un paio di canini aguzzi.
Negli indifferenti anni Ottanta in cui è ambientata la storia di Lindqvist, esseri umani picchiano, sniffano, bevono, insidiano bambini. Eppure, è Eli la loro paura. Perché non appartiene all'umanità, non ha un sesso, non ha dimora. Poco conta che sia capace di provare tenerezza davanti a un giocattolo e di lasciare messaggi d'amore a Oskar usando i dialoghi di Romeo e Giulietta. Infatti, non sarà lei a integrarsi: sarà Oskar a trasgredire ogni possibile norma pur di restarle vicino, allontanandosi per sempre dalla comunità.
I docili vampiri di Stephenie Meyer, al contrario, cercano con ogni mezzo di adeguarsi al mondo umano: facendo propri gli aspetti superflui del medesimo, come le automobili lussuose e le carte di credito da donare alla fidanzata.