Per Vs conoscenza le sentenze della Corte Suprema di Cassazione costituiscono un importante precedente nella valutazione dei casi .....
Ma se la cosa non Vi convince c'è la possibilità di contattarli direttamente al sito relativo .
Per Vs conoscenza le sentenze della Corte Suprema di Cassazione costituiscono un importante precedente nella valutazione dei casi .....
Ma se la cosa non Vi convince c'è la possibilità di contattarli direttamente al sito relativo .
Non ho bisogno di contattare chicchessia, in italia i precedenti non sono vincolanti.
E' un dato di fatto espressamente chiarito. Non c'e' da discutere perche' non stiamo esprimendo opinioni personali e' cosi' e basta come 2 + 2 fa quattro.
Esimio BadWolf principe del foro ....Lei travisa e trae conclusioni si ciò che affermo .....Infatti ho solo detto che costituiscono dei precedenti ..Importanti precedenti e non che vincolano qualche cosa ......
Mi spiace ma Lei ha male interpretato le mie parole .
In filosofia del diritto queste cose le insegnano ......Buona Giornata a Lei .
Ossequi
Ma Lei si sbaglia principe del foro ......La terza persona in dibattimento è di rigore .....
Ripassi la procedura ...
Io mi riferisco all'assegno che mio padre prende dallo stato per i figli a carico!
Se questo figlio diventa maggiorenne, si continua o no a prendere questo assegno?
Mi sono spiegata male prima, scusate!
1. Il diritto al mantenimento ex art. 147 Cod. Civ.
L’articolo 147 del cc. nell’ambito delle disposizioni concernenti il matrimonio si cura di prevedere una serie di obblighi imposti ai genitori nei confronti dei figli. Più precisamente si stabilisce che il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. La sedes materiae è quantomeno infelice, in quanto si colloca all’interno del Titolo IV “Del matrimonio”, quasi che gli obblighi verso i figli nascano dal vincolo matrimoniale e non invece, più propriamente, dalla filiazione, ma la legislazione successiva (soprattutto in tema di divorzio) e l’interpretazione giurisprudenziale non sembrano porre in dubbio che la norma di cui all’art. 147 sia riferita ai genitori “naturali”, siano essi sposati, divorziati o semplici conviventi more uxorio. Conseguenza diretta di questa impostazione è il fatto che l’obbligo di prestare quanto necessario al mantenimento sorge automaticamente dalla filiazione, e non a seguito della domanda da parte dell’interessato, come accade nell’ipotesi di assegno alimentare.
L’obbligo del genitore trova il suo corrispettivo in un diritto assolutamente personale del figlio: tale diritto, che per molti versi può essere accostato al diritto agli alimenti, ha tuttavia, rispetto a questi una sfera di azione molto più ampia, in quanto prescinde da qualsiasi situazione di bisogno del figlio e si commisura in proporzione alle sostanze dei genitori. Tale diritto non viene meno con la maggiore età, ma anzi si protrae fino a che il beneficiario non sia in grado di provvedere alle proprie esigenze, con un’appropriata collocazione in seno al corpo sociale.
Esistono tuttavia dei casi in cui il diritto al mantenimento viene meno, e precisamente:
§ Quando il figlio non sia in grado di provvedere alle proprie esigenze per colpa;
§ Quando il figlio non si ponga in condizione o rifiuti di procurarsi un proprio reddito, mediante l’espletamento di attività lavorativa;
§ Quando il figlio viva in altri nuclei famigliari o comunitari, o abbia raggiunto un’età tale da far presumere la sua capacità di provvedere a sé stesso.
In relazione a quanto detto, tuttavia, la giurisprudenza fornisce solo dei criteri di massima e non pone dei punti fermi, ribadendo anzi che il giudice dovrà valutare il caso concreto e non dare un giudizio in astratto sulla permanenza o meno di un obbligo di mantenimento. Ciò è molto importante soprattutto ai fini alla definizione di “capacità di provvedere alle proprie esigenze”, ossia della raggiunta indipendenza economica che giustifica il venir meno dell’obbligo di mantenimento. In genere, infatti, la giurisprudenza afferma che nel caso in cui il beneficiario raggiunga l’indipendenza economica, anche per un limitato periodo di tempo, il suo diritto al mantenimento viene meno e non torna a rivivere con la ricaduta nella dipendenza da altri: in tal caso, infatti, sussistendone i presupposti, il soggetto potrà richiedere la corresponsione degli alimenti, ma non più del mantenimento. Ciò detto l’interpretazione della norma rischia di cader facile preda di un affrettato rigorismo o di un condiscendente lassismo: parte della dottrina (Tamburino, “La filiazione” in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale – UTET) sembra legare la sussistenza dell’obbligo di mantenimento alla convivenza con i genitori (nella specie con il genitore affidatario), altri autori legano invece l’obbligo alla non percezione di reddito del beneficiario (sempre che non dovuta a colpa), la quale tuttavia cade nel momento in cui questi svolga un’attività lavorativa seppur precaria.
La giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità sembra prevalentemente orientata in un senso “rigorista”, ritenendo che l’aver svolto attività lavorativa dimostri di per sé la potenziale produzione di reddito e quindi la possibilità di acquisire una indipendenza economica. Tuttavia una riflessione attenta allo sviluppo del diritto del lavoro negli ultimi anni potrebbe portare il Supremo Collegio a ripensamenti sul punto. In effetti l’obiettivo principale che si prefiggono i giudici nelle sentenze infra citate è quello di evitare una sorta di parassitismo dei figli nei confronti dei genitori, stimolandoli nella ricerca e nella conservazione dell’attività lavorativa; tale indirizzo, certamente condivisibile nei fini che si prefigge, deve tuttavia essere armonizzato da un lato con una revisione della normativa in tema di diritto del lavoro, dall’altra con la realtà imperfetta del “nuovo” mercato del lavoro: in sostanza il legislatore ha consentito e consente ampie possibilità di impiego ad interim della forza lavoro, ma, in questa fase, tale innovazione legislativa non ha ancora avuto sul mercato l’effetto di creare quel sistema dinamico che è presupposto dalla flessibilità. Il lavoratore “interinale”, in sostanza si trova all’interno di un sistema che non gli consente ancora di passare agevolmente da un impiego all’altro senza (o quasi senza) soluzione di continuità, al punto che la precarietà dell’impiego si accompagna anche ad una precarietà del reddito[5]. C’è dunque da chiedersi se, e fino a quale punto una flessibilità (imperfetta) possa portare a ritenere che il lavoratore, per il solo fatto di svolgere un’attività lavorativa, sia autosufficiente dal punto di vista economico o, come si legge in alcune massime sia in grado di trovare una “collocazione appropriata” nel corpo sociale. In questo senso mi pare interessante l’affermazione della Corte d’Appello di Roma quando ritiene che: “L'obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento del figlio anche dopo la maggiore età di quest'ultimo, obbligo perdurante fino a quando il figlio acquisisca l'idoneità ad inserirsi nel mondo del lavoro, così conseguendo l'indipendenza economica, viene meno allorché il figlio sia stato avviato ad un'attività lavorativa tale da consentirgli una concreta prospettiva di autonomia economica”; nel caso di specie la corte romana nega il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne “scarsamente motivato” a dedicarsi ad un’attività economica in grado di garantirgli l’indipendenza economica, ma sembra non escludere a priori la possibilità di una persistenza del mantenimento laddove l’attività lavorativa non sia tale da consentirgli una concreta prospettiva di autonomia economica: il che è comprensibile in quanto, applicando con rigore il diverso principio secondo cui qualsiasi attività lavorativa svolta è di per sé idonea ad interrompere la dipendenza economica del beneficiario del mantenimento, si giungerebbe all’eccesso opposto.
In tutti i casi sopraesposti, l’onere della prova della causa che esclude il diritto al mantenimento è ad esclusivo carico del genitore che nega il persistere delle condizioni che lo giustificano; tuttavia la giurisprudenza sembrerebbe molto più rigorosa nel caso di divorzio, quando afferma che nel caso in cui il coniuge divorziato intenda ottenere un contributo dall’altro genitore deve provare che persiste il bisogno di mantenimento del figlio (così Cass. 10 aprile 1987 n° 3570).
Il tutto per la precisione espressa in modo didascalico e tecnico per dare soddisfazione ad esperti e meno .....
Ahhhh ma ergo stiamo parlando di tutt'altra cosa
Questa roba qui insomma L'assegno per il nucleo familiare - TuttoINPS
Giusto???