REGIA:
David LYNCH
PRODUZIONE: U.S.A. - 2001 - Mystery
DURATA: 146'
INTERPRETI:
Justin Theroux, Naomi Watts, Laura Harring, Ann Miller, Dan Hedaya, Mark Pellegrino, Brian Beacock, Robert Forster, Katharine Towne, Lee Grant, Michael J. Anderson
SCENEGGIATURA:
David Lynch
FOTOGRAFIA:
Peter Deming
SCENOGRAFIA:
Jack Fisk - Peter Jamison
MONTAGGIO:
Mary Sweeney
COSTUMI:
Amy Stofsky
MUSICHE:
Angelo Badalamenti - David Lynch - John Neff
Trama
Un incidente sulla Mulholland Drive a Hollywood. La donna superstite ha perso la memoria: si rifugia in un bosco e poi, penetrata in un appartamento, conosciuta Betty, un'aspirante attrice appena giunta nella città delle star, cercherà, insieme a lei, di risalire alla sua identità e alla provenienza del denaro che ha con sé.
Benvenuti negli anni 2000. Ad aprirci le loro porte è lo stesso Lynch che aveva spalancato gli anni 90 con WILD AT HEART, paradigma imprescindibile per seguire correttamente l'evoluzione filmica del passato decennio. Dopo un capolavoro come LOST HIGHWAY, dopo una prova di maturità, delicatezza e spessore come THE STRAIGHT STORY, dopo questo MULHOLLAND DRIVE, si può dire con serenità che il regista americano ha pochi rivali. Uno stile inarrivabile, di rara originalità, un senso della messinscena come nessuno, un uso della macchina da presa di suprema espressività che esalta il cinema nelle sue peculiari caratteristiche (finalmente qualcuno...). Lynch, rilanciatosi a corpo morto nel mistero, piega il pilot di una serie televisiva a capolavoro di necessità. Reticolo di spunti, indizi, filoni accennati, pronti a evolversi e a proliferare ma anche ad avvilupparsi inestricabilmente, MULHOLLAND DRIVE, coi suoi semplici archetipi (una bionda, una bruna, un incidente d'auto, una borsetta piena di soldi, un'amnesia) diventa dramma di avvincente sospensione, gabbia di fascino che lascia storditi e estaticamente attoniti. Chi sia Rita importa al regista più o meno quanto gli interessava conoscere l'assassino di Laura Palmer: poco o nulla; nella serie televisiva abortita, quando fosse sorta la necessità, l'avrebbe spiegato (se proprio doveva...): fondamentale è percorrere una strada (diciamo vicino a Hollywood), non importa la destinazione (la fine sarebbe comunque uguale: silencio). La deriva di una sinossi: personaggi che raccontano e rivivono strani sogni premonitori, una riunione che culmina nell'incubo del cineasta ("questo non è più il tuo film"), un killer maldestro (siparietto di consueta, lynchiana brillantezza), identità che si sovrappongono (this is the girl?), sesso oscuro (lesbico: ma non doveva andare in tv?). Spunta persino una scatoletta blu che sembra conservare la soluzione dei misteri e che non può non ricordarci quella che il cliente orientale mostra alla prostituta Deneuve in BELLE DE JOUR (e come Bunuel, che non ne aveva la minima idea, anche Lynch alla domanda "cosa contiene quella scatoletta?" potrebbe rispondere "quello che vuoi"). Senza il fulgore visivo di LOST HIGHWAY (ma non dimentichiamoci la sua destinazione) M.D. è comunque un mosaico di tessere apparentemente contraddittorie di disarmante perfezione in cui il regista, esulando dall'urgenza della spiegazione ad ogni costo (la madre tignosa di tutti i flagelli), è compreso nelle sue attività preferite: cesellare atmosfere, disseminare segni e dubbi, metterne in crisi qualsiasi tentativo decifrativo, lanciare sguardi obliqui e inquietanti, delineare complicati labirinti nei quali dolce è il perdersi, siano essi figure in ombra su un letto, tendaggi che delimitano la soffocante stanza dell'inconscio o movimenti di ballerini in uno strepitoso inizio anni 50. Disprezzo (Mépris...) per lo spettatore? No, massimo rispetto per il proprio essere Artista, innanzi tutto, in base all'assunto per il quale le immagini non devono necessariamente sevire a costruire un significato altro da sé ma devono essere significative di per sé. Solo le menti più lucide del cinema moderno si ricordano che con la celluloide ci si esprime in tal guisa, i pochi che lo f(s)anno (li contiamo sulle dita di una sola mano) sono gli unici che rendono l'esperienza cinematografica degna di essere vissuta, gli unici che mi spingono ancora a varcare la soglia di una sala cinematografica. Lynch è uno di questi. In realtà M.D. è quasi lineare, per buoni tre quarti avvince, diverte, intriga. Nell'ultimo quarto il costrutto si annulla, la trama deraglia e esplode, si frammenta, si sminuzza finemente, diviene polvere di puro delirio visivo: impasse razionale, interrogativi a mille all'ora, stream of consciounsness nel quale ci gettiamo a pesce. L'ultima scena è tempesta sensoriale che fa accapponare la pelle, in cui il terrore del personaggio diviene dello spettatore. Ma siamo già nell'irraccontabile, ciascuno guardi coi propri occhi.
Mi accodo a questa recensione...
E' anche una mia materia di studio (il cinema) ma, fuori da questi discorsi, trovo questo film semplicemente geniale...contorto si, ma di lusso.
Esprimetevi....
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