Sprofondato nel sonno.
Battono colpi secchi alla porta, insistenti.
Mi sveglio di botto e realizzo che:
1. la mia tendina canadese anni ’50 non è dotata di porta
2. chi sta bussando non se n’è accorto e continua ossessivo
3. con tutte le tende che ci sono, proprio qui devi venire a bussare?!
Confortato da questi soavi pensieri, mi giro sul fianco sinistro e mi riaddormento.
Tempo un amen (un’ostia per gli antisemiti), percepisco un distinto rumore di cerniera che si apre. Cioè, no, non si apre da sola, perché non l’ho mai educata in tal senso: qualcuno la sta aprendo.
Leggermente infastidito, riapro gli occhi, giusto in tempo per rendermi conto che:
1. sto mollemente adagiato sul mio lettino
2. che casa mia non è dotata di cerniere d’ingresso
3. ecchecazzo, tutti me devono cercare, ‘stanotte?!
Che poi, dico, neanche mi pare tanto educato venirmi a trovare nel cuore della notte. Almeno avvertimi, no? Se vuoi risparmiare, mandami un sms sul cellulare. Io non ce l’ho, ma mio fratello sì – e lui dopo mi avverte.
Va bè, mi giro sul fianco destro e mi riappisolo.
Squilla il cellulare. Cribbio, mi consenta:
1. ho già detto che non ce l’ho: cosa insisti a fare?
2. mio fratello, che ce l’ha, non abita con me e s’incazza, lui, se lo svegliano in continuazione
3. con tutti i numeri che puoi fare, proprio il mio ti vien fuori dalle dita?!
A ‘sto punto, non ho più fianchi sui quali girarmi; ho perso il sonno e mi è venuta l’iperventilazione ai maroni. Scendo dal letto e me ne esco da questo racconto, “di quei racconti che non dormi mai”.
Fuori, l’aria fresca della notte mi sferza i neuroni. Rifletto, pondero, concludo: “Chissà che finale si inventerebbe Camilleri?”