La metà degli italiani
felice di non cambiare città
Il Censis: i più soddisfatti quelli che abitano nei paesini
La richiesta di un maggior potere allo Stato assieme alla corsa dei mini centri a creare strutture autonome
ROMA — Nemmeno con la bacchetta magica. E non è un modo di dire visto che quella domanda i ricercatori del Censis l'hanno fatta nel modo più generoso possibile: «Tipologia di località dove sognerebbe di abitare». Sognerebbe. Lasciando perdere, quindi, i problemi concretissimi che si porta dietro un trasferimento reale come i soldi, la scuola dei figli, i genitori che si fanno vecchietti, il lavoro, e con la casa come la mettiamo... Niente da fare.
Francesco Renga non si è mai voluto spostare da Brescia, dove si è trasferita la sua compagna Ambra.
Anche chiudendo gli occhi e provando a volare, un italiano su due «non cambierebbe mai» la città dove vive. Tranquillo e soddisfatto (o arreso?) il 47,2% degli intervistati. Con una punta del 53,2 per cento per chi vive in un piccolo paese. E un indice di gradimento che scende mano a mano che la stessa domanda viene fatta a chi vive in una città media (42,9 per cento) o in una grande, 40 per cento. Piccolo è bello. Ma forse è meglio dire piccolo è facile, perché per andare al lavoro bastano cinque minuti a piedi e non serve un'ora di macchina (anche se molti in realtà sono pendolari). Oppure piccolo è conveniente, perché le case costano meno e anche al supermercato la differenza si sente. Un ritorno al localismo. «E non è un caso — spiega il fondatore del Censis Giuseppe De Rita — che alle ultime elezioni proprio il rapporto con il territorio sia stato indicato come fattore decisivo sia dai vincitori che dagli sconfitti». Il centrodestra con la Lega che rappresenta il Nord, il Partito democratico con il problema ammesso anche da Veltroni di uno scarso radicamento sul territorio.
La politica si adegua alla realtà e tutto va bene così? No, secondo il Censis. «Il senso della comunità rischia di degradarsi nella sindrome del fortino assediato », si legge nel rapporto. Conta quello che succede nel proprio giardino e buona notte a tutto il resto. L'esempio classico è quello del no alle grandi opere, ferrovie o autostrade, con 193 casi registrati solo l'anno scorso. Oppure la corsa dei piccoli centri a costruirsi per conto proprio l'aeroporto, la fiera, l'università e anche la provincia con la concreta possibilità di creare tanti piccoli nani destinati a una vita breve. Ma c'è anche un dato a prima vista contradditorio. Lo studio del Censis chiede chi dovrebbe privilegiare una nuova distribuzione dei poteri: uno su due (47,5 per cento) dice lo Stato, gli altri si dividono a metà tra Regioni e Comuni. Solo nel Nordest, sebbene di poco, questo rapporto si rovescia. E il federalismo non sembra un tema capace di trascinare in piazza la gente: è una priorità per il 3,9 per cento degli intervistati (il 6,8 nel Nordest). Contro il 26,8 per cento che indica la riduzione delle diseguaglianze sociali e il 19,7 per cento che sogna la riduzione delle tasse.
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