I profughi sono alle porte. E sono una moltitudine. Un milione e mezzo di persone, secondo i dati riferiti ieri dal responsabile del Viminale davanti ai membri delle commissioni congiunte Affari costituzionali ed Esteri di Camera e Senato. Roberto Maroni ribadisce anche il rischio di infiltrazioni di Al Qaeda e apre all'opposizione affinché l'emergenza libica veda maggioranza e minoranza impegnate insieme, accantonando «la sfida permanente e le accuse reciproche». E per la prima volta sottolinea: «Non è solo una questione di immigrazione clandestina, ma una grande emergenza umanitaria e l'Italia deve essere all'altezza del suo ruolo nel Mediterraneo». A tale scopo, il ministro dell'Interno ha annunciato che il nostro Paese ha stanziato cinque milioni di euro che serviranno a finanziare una missione ai confini fra Libia e Tunisia. E ha auspicato che l'Ue possa aiutare il Nordafrica «a produrre un modello di transizione che non sia ostile all'Occidente» e lanci, a fianco delle sanzioni, un nuovo «Piano Marshall per consentire a questi Paesi, una volta ritrovata la stabilità, di procedere a un rapido sviluppo economico e democratico».
«Stimiamo che in Libia ci siano circa un milione e mezzo di clandestini entrati dai confini a sud, dal deserto - ha detto ancora Maroni - In questi giorni stanno scappando verso Ovest ed Est. Ma mi aspetto che, non appena la situazione lo consentirà, riprenderanno la direzione Nord, verso l'Europa: sarebbe lo scenario peggiore possibile, che prevede movimenti di 200.000 persone in fuga. Ci stiamo preparando a subire il rischio di un impatto senza precedenti sulle nostre coste». Ma non è il solo allarme lanciato dal ministro. Citando un rapporto Europol, l'inquilino del Viminale ha sottolineato è che la Libia potrebbe diventare come la Somalia e l'Afghanistan. Secondo l'intelligence tricolore, infatti, «c'è un'attività di associazioni vicine ad Al Qaeda nel Maghreb che mirano a fare proselitismo». In attesa di capire che cosa accadrà in seguito alla crisi libica, in Sicilia continuano gli sbarchi, soprattutto di tunisini. Negli ultimi due giorni ne sono arrivati 540, 22 a Linosa e il resto a Lampedusa. In poche ore sono stati registrati cinque arrivi. Un barcone con un centinaio di persone a bordo è stato avvistato nel pomeriggio a largo delle coste siciliane ed è giunto a Lampedusa in nottata. Prima erano stati 25 tunisini, fra i quali donne e bambini, a ricevere l'assistenza in mare dalle «fiamme gialle».
Ventidue clandestini sono stati bloccati sulla terraferma, in località Cala Monica e 44 nei pressi del cimitero. L'altra notte, infine, una carretta che trasportava 347 stranieri, in maggioranza provenienti dalla Tunisia, era approdata sull'isola. Anche se la pressione su Lampedusa è diminuita grazie ai ponti-aerei, il problema resta. L'accordo fra Roma e Tunisi prevede il rimpatrio. Ma «le autorità tunisine - ha affermato sempre ieri Maroni - accettano di accogliere solo quattro connazionali al giorno e, se si considera che in queste settimane sono arrivati circa duemila tunisini, con questo ritmo ci vorrebbero almeno tre anni per rimpatriarli tutti». Dal canto suo, però, l'agenzia di frontiera europea ha fatto sapere che l'opzione del respingimento di immigrati o rifugiati dal Nord Africa è esclusa. La responsabile di Frontex, Ilka Laitinen ha detto che quelle fornite da Maroni sono per il momento cifre «speculative» anche se spetta a tutti i Paesi membri dell'Unione di mandare «risorse nel Mediterraneo per assistere l'Italia, Malta e la Grecia in questa crisi».
Un concetto ribadito anche dal presidente della Repubblica. L'Unione Europea, ha chiesto ieri Giorgio Napolitano in vista del vertice straordinario Ue dell'11 marzo, deve «accelerare il cammino verso una politica comune dell'immigrazione e dell'asilo, perchè non si tratta soltanto di raccogliere persone in fuga dalla sponda Sud del Mediterraneo. Si tratta di dare una prospettiva di sviluppo a tutta l'area mediterranea, che costituisce la risposta più importante anche per evitare crisi precipitose e catastrofiche che sarebbero molto difficilmente sostenibili». Un appello di fronte al quale l'Europa continua a fare orecchie da mercante.
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