Originariamente inviata da
gian
Degenero totoale oggi, a Istituzioni di Linguistica.
Ecco l'ultima parte del discorso del docente.
C’è solo un caso in cui parlando di di di di suffissazione dobbiamo negare una parte di questi principi e in particolare il cambiamento di categoria e questo è dato dai suffissi così detti, oggi si chiamano valutativi, suffissi valutativi.
Il termine valutativo riassume in se, neutralizza le concezioni di dimunitivo, accrescitivo, peggiorativo, dispregiativo e cose di questo genere; insomma, quegli elementi che servono a modificare il significato di una parola in senso affettivo, i quali non cambiano la categoria della parola, pur essendo dei suffissi.
I suffissi, no, poniamo di avere due normalissimi in italiano ino e etto, che si possono applicare a nomi e aggettivi in primis, ma poi si possono applicare a verbi .
Ino ed etto sono due elementui suffissali che indicano piccolo e carino, grazioso, no?
Se derivano da un nome, resta un nome, se derivano da un sostantivo...mano, manina, no? Piccola mano, no? Braccio, braccino va bene?
Molti di questi sono soggetti a lessicalizzazione, cioè sono soggetti ad assumere una specifica lessicale che ne cancella l’originale valenza di carattere valutativo.
Si dice per esempio “andiamo a braccetto” no? Non si dice “andiamo a braccino”.
Eh, finestrino , finestrino del treno, adesso i finestrini del treno sono dei finestroni, tavolaccio, quello che una volta c’era nelle galere eeee, eccetera eccetera, no?
Però non toccano evidentemente il livello di strutturalismo di questo sistema.
Possono essere modificati i nomi, possono essere modificati aggettivi, possono essere modificati anche i verbi, no? Cantare, canticchiare, canterellare e saltare, saltellare e, e via dicendo.
Allora in questi casi non è modificata la categoria di base, cioè transcategorizzazione, tranne in qualche caso marginale e e e va bene e via dicendo.