Originariamente inviata da
trap
Quando successe - potevo avere otto anni, nove, tò - m'ero già divorato più fumetti io che non paste un vecchio democristiano durante un buffet gratuito (i ragazzi d'oggi, gli mancano gli strumenti critici per cogliere questa similitudine). Purtroppo, però, io non ero un personaggio di Bonvi e quella non era una striscia di Sturmtruppen. Un temporale carogna aveva fatto saltare la luce (come noi dicevamo): l'ascensore aveva inchiodato fra il terzo e il quarto piano, con mio grande sgomento.
Vivevamo - papà, mamma e tre figli - nelle case popolari; popolari sì, ma moderne, con già l'ascensore: una comoda bara verticale a due posti. Il senso di soffoco (come sempre noi dicevamo); la luce risucchiata nel baratro; l'assenza assoluta di rumori umani mi ghiacciarono in gola l'urlo che mi deflagrava il cervello: la mia nuvoletta restava bianca al limite dell'accecamento. I pompieri (che tristezza, oggi, pensare a ‘I Vigili del fuoco di Viggiù' ...) non arrivavano mai, al punto che avrei volentieri patito quanto Ulisse, pur di sentire una sirena (le avventure di Odisseo le avevo già lette sul ‘Corriere dei Piccoli').
Dopo dieci minuti che l'ascensore si fu fermato, cominciai ad annaspare, ansimare, boccheggiare, rantolare. Il mio corpo, era come si fosse dilatato fino a spiaccicarsi contro le pareti dell'ascensore. Una mano enorme mi comprimeva sempre più il torace, mi costringeva a spingere fuori l'aria. Poi, di botto la mano svaniva, i polmoni correvano a schiantarsi contro la cassa toracica.
Mai ebbi a scordare quella sensazione di respiro a mantice, con la trachea sull'orlo dell'ustione.
Avrei letto, anni dopo, i racconti di E. A. Poe: alcuni di essi furono per me squarci dolorosi nel passato - la sepoltura prematura, il risveglio in nave, in una presunta cassa da morto ... Macerai quasi le pagine del volume, tanto ebbi a sudare durante la lettura (*), ancora avvertendo quella mano che mi opprimeva il petto.
L'appartamento che occupavamo in cinque era più confortevole dell'ascensore; mentirei affermando il contrario - ma 53 metri quadrati (commerciali, specificava sempre la mamma, per assottigliare ancor più la fetta d'aria a disposizione per ognuno di noi) non erano proprio tutta ‘sta cornucopia di ossigeno e spazi di manovra. I soffitti - case popolari, tirate su al risparmio - stazionavano sì e no a due metri e settantacinque. Noi tre fratelli si dormiva nella stessa stanza, in un letto a castello a tre piani. Scommetto che avete già indovinato chi dormiva al terzo: ero il più grande, via, i piccoli potevano cadere e farsi male. La notte, per anni, mi svegliai in debito d'ossigeno, proprio come l'antieroe del Poe. Purtroppo, all'epoca ancora non avevo avuto il piacere di farne la conoscenza e non potevo condividere con lui il mio pavor nocturnus (nemmeno questa espressione mi era nota, allora: me la facevo in braghe dal terrore e basta.)
Fui, manco a dirlo, uno dei pionieri del cocktail di asma e allergie da pollini. Non sarebbe per voi grande sforzo immaginare le mie condizioni quando approdavo al pianerottolo dal terzo piano in su: mai più riuscii a metter piede in un ascensore senza sentirmi esplodere fra cervello e polmoni la sequenza SGZUM! KRAKKLE! KRA-KOOM! CRABOOM! FRABOOM! SKEEK! GASP! GULP!
Venni grande senza tante aspettative e aspirazioni (niente ‘vite che avrei voluto vivere'): una persona modesta, umile - schiva, anche. Mi sarebbe piaciuto scrivere - romanzi, intendo. Ma ebbi lucida coscienza dei miei mezzi e dei miei limiti: fui giornalista di provincia.
La vita che volevo ... che avrei voluto vivere? La stessa che vorrei ora: anelo uno spazio ampio, dove non siano solo i sogni a giocare a rimpiattino con l'infinito; tanta aria da respirare: fresca, fragrante, intrisa degli aromi delle quattro stagioni; luce, ovunque luce: calda, fredda, naturale, artificiale, monocromatica, arcobalenante, diffusa, frammentata in miriadi di punti-luce. Poco m'importa la solitudine; il silenzio non mi angoscia: ho i fantasmi del passato, a tenermi compagnia. Essi non mi contenderebbero lo spazio, non succhierebbero la mia aria, non farebbero ombra alla luce che vorrei per me.
Questo, quanto vorrei dalla vita; questa, la vita che vorrei.
La vita, vorrei.
Vorrei vedere voi, tutto il giorno inscatolati qui dentro, fra queste quattro assi, sottoterra; nel buio, che è luce anch'essa trapassata; nell'aria fetida di putredine, un tanfo che farebbe risuscitare anche i morti.
E' la vita, che vorrei - e la vita è aria, luce, spazio.
P.S. Nell'ipotesi minima, vorrei almeno un buon collutorio e un catartico deodorante-spray del cavo orale. Non si lavano mai, queste laide creature verminose che hanno trasformato la mia bocca nel loro caldo nido d'amore. Noi, quando si viveva in 5 in 53 metri quadrati, il bagno lo facevamo almeno una volta a settimana.
Sarà che non eravamo ermafroditi.
(*) non sprecate lacrime per quel volume in ammollo: era una di quelle enormi edizioni economiche della Bietti, in brossura - si sfasciavano che ancora stavi leggendo il titolo e ti costringevano a leggere a dispense.