Una cosa deve essere chiara: l’attuale crisi finanziaria non è stata causata da Wall Street ma dalla Casa Bianca. La radice del problema, infatti, non è finanziaria ma politica e i veri responsabili per questo fiasco di dimensioni mondiali non sono i banchieri e nemmeno i repubblicani di George W. Bush bensì i democratici di Bill Clinton. Ecco perché.
Esattamente come accade in Europa anche negli Stati Uniti per intere generazioni le banche hanno negato il credito a persone giudicate potenzialmente a rischio di insolvenza. Ora, la montagna spaventosa di mutui subprime – definiti ormai “tossici” anche dalle istituzioni – e il numero sempre crescente di riscatti sui mutui in atto negli Stati Uniti dimostra però che nel recente passato i banchieri d’Oltreoceano hanno radicalmente mutato atteggiamento cominciando a prestare denaro a persone che si sapeva fin da principio non avrebbero potuto ripagare la somma incassata.
Cosa può averli indotti a un tale mutamento? Un esercizio di stile masochistico? Il populismo anti-mercatista imperante in questi giorni vorrebbe che la risposta fosse l’avidità, la voglia di dollari facili espandendo il mercato. Invece no, la verità è che le banche sono state minacciate, allettate e alla fine costrette ad abbassare i loro standard di prestito da politici che volevano questo al fine di rispondere a una mera agenda ideologica. La data di inizio di questa rivoluzione è il 1993, anno dello sbarco sulla scena politica nazionale di Roberta Achtenberg, lesbica, attivista e avvocato dei diritti civili nonché lobbysta per la comunità gay di San Francisco. Bill Clinton le offrì un posto nella sua Amministrazione, per l’esattezza la posizione di assistant secretary dell’ufficio per la Fair Housing and Equal Opportunity del Dipartimento per la casa e lo sviluppo urbano (Hud).
All’epoca la maggior preoccupazione nella strategia immobiliare dell’Amministrazione Clinton era di incrementare il numero di proprietari di casa tra i poveri, soprattutto neri e ispanici. Alla Casa Bianca erano certi che l’ottenere la proprietà dell’immobile in cui si vive avrebbe avuto ripercussioni sociali positive come meno crimine violento, migliori performance scolastiche e maggior senso della comunità. Ma tra il sogno progressista di Bill Clinton e la sua realizzazione si parava la rigidità del sistema bancario in fatto di depositi cauzionali e puntualità nel pagamento delle rate, due pilastri che spesso poveri e minoranze non erano in grado di onorare. Ecco quindi che l’Amministrazione democratica decise che era giunto il tempo di chiedere alle banche di essere maggiormente “creative”. Nel frattempo Ms. Achtenberg era indaffarata nel creare ovunque nel paese una rete di controllo, gestita da investigatori e avvocati, che passasse al setaccio i conti delle banche al fine di scoprire eventuali pratiche discriminatorie sulla base razziale, di genere o sulle disabilità. L’iperattiva Ms. Achtenberg pensava infatti che il razzismo fosse uno dei fattori principali nel non consentire alle minoranze di avere un livello di proprietà immobiliare pari a quello dei bianchi. Nonostante fosse cosciente del fatto che non era possibile cambiare la testa della gente per legge, sia lei che il ministro della Giustizia, Janet Reno, decisero che era però possibile cambiare per legge l’atteggiamento delle banche.
Il primo passo fu instaurare una sorta di apartheid al contrario nei confronti delle banche. Dato che i suoi investigatori e avvocati avevano scoperto poco o niente riguardo presunti pregiudizi da parte degli istituti di credito, si arrivò al paradosso del voler dimostrare il «trattamento di disparità frutto del razzismo istituzionale».
Cosa significa questa follia è presto detto: se una banca bocciava proporzionalmente più richieste di prestiti a neri che a bianchi era nei fatti razzista e doveva sobbarcarsi l’onore delle prova nel dimostrare il contrario o affrontare multe da milioni di dollari. A partire dal 1994 furono decine i casi del genere. Il delirio assunse dimensioni psichiatriche nel 1995 quando Ms. Achtenberg si sentì in obbligò di rendere noto che la dizione “master bedroom” sulle locandine che pubblicizzano case in vendita era vietata perché aveva «reminiscenze schiavistiche e patriarcali». Le banche, a quel punto, capirono che non restava altro da fare se non adattarsi al nuovo corso: tre quarti della porcheria che ha intossicato il mercato è stata emessa da loro.
Dalla metà degli anni Novanta cominciarono ad abbandonare i loro rigorosi criteri di prestito: i mutui erano concessi con solo il 3 per cento di deposito richiesto o addirittura senza alcun deposito. Si scatenò una vera e propria corsa a chi offriva denaro e mutui facili a poveri e minoranze: tra il 1994 e il 1999 il numero di afro-americani e latini che comprò casa aumentò di due milioni. Le banche nazionali (le nostre popolari, per capirci), responsabili per il rimanente quarto di prestiti subprime in circolo, furono messe sotto un differente tipo di pressione da parte dell’Amministrazione Clinton al fine di aumentare i loro prestiti a poveri e minoranze. Furono infatti posti in essere cambiamenti radicali nel Community Reinvestment Act (Cra) per dar vita a un sistema nel quale le banche venivano valutate in base al numero di prestiti offerti a cittadini della zona a basso reddito.
Un buon rating Cra fu reso necessario come conditio sine qua non per ottenere il via libera dai regolatori per fusioni, acquisizioni, espansioni o apertura di nuove filiali: nel dorato mondo dell’egualitarismo clintoniano aver pochi poveri e insolventi tra i propri clienti era un dramma per il business plan di una banca. Allo stesso tempo il governo fece pressione su Freddie Mac e Fannie Mae (le due agenzie semigovernative salvate dall’Amministrazione Bush all’inizio di settembre) affinché aiutassero l’espansione dei prestiti per mutui agevolati tra cittadini con basso o medio reddito e acquistassero dalle banche i subprime, ampliando enormemente il ruolo delle agenzie para-statali nel mercato immobiliare americano con l’effetto di indurre gli operatori a confidare nella implicita garanzia pubblica su tutti quei mutui.
Altro che crisi del mercato e del capitalismo, è stato il troppo statalismo unito all’ideologia delle pari opportunità ad ogni costo ad averci portato fino a qui. Il resto è storia recente: la bolla che si gonfia fino ad esplodere, gli stipendi che scendono invece di salire, le rate dei mutui non pagate, le ripossessioni e soprattutto derivati di derivati di derivati finiti ovunque negli asset di banche commerciali e d’investimento attraverso impacchettamenti ritenuti sicuri e lucrosi poiché garantiti tecnicamente dallo Stato attraverso i due giganti parastatali. E lo Stato, nei fatti, salvando due mesi fa Fannie Mae e Freddie Mac ha garantito davvero quei mutui evitando un crollo di massa ma ha anche giocoforza spalancato le porte dell’inferno concretizzatosi nel crash borsistico di inizio ottobre. Altro che Wall Street, la colpa è ancora tutta della politica. Liberal, of course.