Correva l'anno 1946.
Il fuoco ardeva schioppettando nel suo grembo a forma di camino e l'aria puzzava di fuliggine e minestrone. La tempesta di neve aggrediva i vetri sottili e gli spari dei fucili ancora riecheggiavano nella valle. Silenti ricordi di ferite che non si sarebbero mai risanate.
Sulla mia sedia dondolavo, pensando alla miseria, alle patate da pelare e alla primavera che tardava ad arrivare.
D'un tratto mi chiese: "Mi ami?"
Le mani smisero di lavorare la maglia e lo guardai. Aveva un ruga profonda che gli solcava la fronte, le guance scavate, il naso storto e due occhi pieni di pena. Poco era rimasto dell'uomo che salutai prima che partisse. Se ne andò principe e tornò rospo. Ma poco importava. Dopo tre anni era ancora lì, vivo.
"Ti amo quanto amo i boccioli freschi dei ciliegi e delle rose, quanto il cielo blu di aprile ed il mio respiro."
Un sorriso lo avvolse e fu tutto quello che avevamo da dirci.
Chiudo l'album delle foto. Le memorie affiorano sempre quando meno te lo aspetti. E ritrovare lì il suo sorriso in bianco e nero, il suo sorriso sepellito sotto metri di terra e vermi, mi fa male. Una lacrima trova una ruga e scende lungo la sua linea.
Se solo quella collana non si fosse rotta, quella collana comprata con la sua fatica. Ancora sento il rumore delle perle che cadono e rotolano e corrono.. lentamente.. ed io attonita lascio che sia. Quando si spezza un filo è impossibile ricucirlo.. E quando perdi la perla più grande che formava la collana, il gioiello stesso non ha più il medesimo valore, svilito dalla mancanza. La vita funziona un po' nella stessa maniera: perdi la parte più importante e tutto il resto si offusca, annebbia ed un senso non lo sai dare più.