Quanto segue è un piccolo - ma lungo - stralcio dei miei pensieri, in un giorno a suo modo molto, molto speciale.
Ogni giorno è ugualmente importante. In ogni caso.
C'è il giocatore di Borsa che ha perso tutto, quello materiale e ora distrutto, che quel giorno non lo dimenticherà mai perchè è stato quello che ha segnato il cambiamento più radicale di tutta la sua intera esistenza. E' stato sempre ricco e ha sempre avuto tutto quello che desiderava ancor prima di schioccar le dita. Ma è anche stato sempre estremamente solo, per lo stesso motivo. Si porta lentamente sul grande terrazzo del lussuoso attico in cui abita, in una mano regge tristemente un bicchiere di cristallo in cui sfavilla un pregiato liquido borgogna, suo unico amico da molti anni. Guarda e vede il cielo per la prima vera volta e nonostante tutto, sorride. Non ha mai dato molta importanza al paesaggio, è sempre stato uno che la vita la guardava scrupolosamente solo dalle tasche di pelle nera del portafogli. E' la prima volta che diviene consapevole di quanto sia bello guardare e vedere il cielo. Ed è anche la prima volta che, abbassando gli occhi giù dall'alto balcone, medita il suicidio con tanta profonda e serena consapevolezza.
C'è la donna sul letto d'ospedale, sfinita ma felice, che ha passato le ultime 18 ore a spingere una nuova vita in questo mondo sovrappopolato ed egoista. Tiene stretta una mano a suo marito, i cui occhi brillano d'emozione, mentre entrambi reggono il piccolo frutto del loro grande amore, nell' amore. Ricorderanno questo giorno come quello in cui sono stati più uniti - ancor più di quello dell'atto propriamente pratico del concepimento - e vivi insieme. Il bambino non piange, sembra sereno. Forse avverte l'amore che i genitori trasmettono tutt' intorno, più probabilmente ha solo sonno. Ma in quel momento di quel singolo e importante giorno è divenuto parte inconsapevole di un'unione più grande di lui, un'unione che lui stesso ha contribuito a plasmare. Quel tipo di legame di cui difficilmente divieni consapevole, che molto improbabilmente potrai descrivere con parole tue, ma che nonostante tutto esiste. I due creatori innamorati si guardano, ed è uno sguardo traboccante di molteplici emozioni. Non usano le parole. Per comunicare, non ne hanno mai avuto bisogno.
C'è la bambina che sta imparando a pedalare senza le piccole ruote di sostegno. E' impaurita ma caparbia, come tutti i bambini. Non lo può ancora sapere, ma quello è il primo incerto passo che compie verso una metafora d'indipendenza, il primo gradino che la porterà sempre più vicina alle cadute vere, quelle in cui dovrà trovare il modo per rialzarsi con la sola forza delle sue gambe. Ricorderà quel giorno come quello in cui, girandosi per controllare che suo zio le stia ancora tenendo le mani sul portapacchi per mantenerla dritta, si è resa conto che a pedalare dritta era lei sola, su quella piccola bici bianca e rossa, che lo zio la stava salutando da 20 metri più indietro, sorridendole. Ricorderà di come per lo spavento e la sorpresa abbia perso il precario controllo del manubrio e sia precipitata - piccola scheggia urlante in trecce bionde e tutina rossa - in un cespuglio. Di come lo zio le sia subito corso incontro, spaventato, e di come lei abbia cominciato a frignare, più per l'emozione provocata dalla consapevolezza di avercela fatta da sola - incapace come tutti i bambini di trasmetterla in altro modo - che per essersi fatta effettivamente male.
E poi ci sono io.
Che sono caduta sui tappeti elastici a quindici più quattro anni (come piace dirlo a me), mi sono distrutta i legamenti e mi son beccata un medico di merda che mi ha operata col culo e verso il quale abbiam sporto denuncia, perchè se proprio un lavoro qualificato doveva trovarsi, questi altri non era che il fruttivendolo. Almeno lì di mezzo non c'era la salute delle persone (oddio, questo sempre che non avvelenasse le mele). Io, che sono in ballo da settembre con una gamba andata a puttane e che a causa di questo gran figlio di un MiniPony non guarirà molto presto. Io, che senza le stampelle non posso camminare e che ho la facilità di sedermi sulla tazza per fare pipì pari a quella di un tetraplegico impegnato a scalare il K2 aggrappandosi con i denti alle rocce. Ecco, io ricorderò questo giorno come quello in cui ho ricevuto il più bel regalo di compleanno nel giorno in cui la festeggiata non ero affatto io.
Perchè oggi mio padre compie 50 anni.
E se fosse stato ancora vivo, non avrei saputo cosa regalargli. Ma nonostante tutto, il regalo l'ha fatto lui a me: perchè in questa data, in questa giornata che per molti sembrerà passare uguale e identica alla merda degli altri giorni, che per altri sarà bella, per altri divertente e altri ancora una vera patacca, io ho mosso i miei primi passi mezzi incerti e mezzi sicuri senza le stampelle. E questo per me è il più bello e meraviglioso dei regali del mio non-compleanno.
Ti faccio tanti auguri, papà.
Non so se esiste un Inferno, un Paradiso, un Purgatorio o un cazzo di Nirvana, ma dovunque tu sia adesso, buon mezzo secolo e scusa se non ti ho fatto un regalo. Mi dispiace veramente tanto, ma con le stampelle e la gamba fottuta sono ancora una reclusa in casa. Sappi comunque che ho apprezzato il gesto. Infinitamente. Grazie per avermi fatto camminare per la seconda volta, per avermi presa per mano e fatto muovere i miei secondi passi incerti su questo strano strano mondo.
Grazie e Auguri.