Recensione del libro “Filosofia e speranza” di Diego Fusaro.

L’obiettivo che l’autore del libro si è proposto col suo lavoro è stato quello di indagare su uno dei maggiori problemi irrisolti che Karl Marx ha lasciato in eredità ai suoi interpreti: la legittimità della speranza in sede pratica e teoretica, tanto nella cornice del suo pensiero quanto nel più ampio orizzonte della filosofia. Il punto di partenza della trattazione di Fusaro è stata la problematica sovrapposizione che innerva gli scritti marxiani delle dimensioni eterogenee della speranza e della scienza, quasi come se, per quel che riguarda il tramonto del capitalismo e l’instaurazione della società comunista, sussistesse un’identità tra il «dovere in senso morale» (sollen) e il «dovere in senso fisico» (müssen), con la conseguente aporia per cui, a seconda della prospettiva adottata, ci si trova a sperare in qualcosa che dovrà necessariamente accadere, o a dare una veste scientifica alla speranza. Questa tensione tra speranza e necessità pervade le singole opere di Marx, dagli «scritti giovanili» al Capitale: in una lettera a Ruge del 1843, Marx menzionava il misterioso «sogno di una cosa» e, al tempo stesso, spiegava che la coscienza di classe è qualcosa che la classe oppressa deve necessariamente fare sua; nel Capitale si parla di leggi dalla bronzea necessità che reggono lo sviluppo storico e poi si fantastica un regno della libertà oggetto di speranza.
La linea interpretativa seguita da Fusaro è quella che scorge in Marx il filosofo della speranza più che della scienza e che in particolare, pur prendendo le mosse dalla sua evidente renitenza a predipingere il futuro e a prescrivere «ricette per l’osteria dell’avvenire», riconosce nella sua riflessione un’ineludibile tensione messianica e utopica rispetto alla quale la scienza sarebbe un fenomeno secondario e subordinato. Fusaro assume come posizioni paradigmatiche le riflessioni di Ernst Bloch e di Karl Löwith, sia per la lucidità, sia per le opposte valutazioni del pensiero di Marx che le contraddistinguono. Entrambi sostengono la centralità del momento della speranza in Marx, ma in forza delle concezioni antitetiche di questo sentimento che essi fanno valere all’interno della propria riflessione, lo valutano in maniera opposta. Tanto per Bloch quanto per Löwith la vera anima del marxismo è la speranza: un’anima che però è letta dal primo come il punto di forza della teoria di Marx, dal secondo come il suo tallone d’Achille. Liquidandola come il meno filosofico degli atteggiamenti possibili, Löwith non può che ravvisare in Marx il paradigma di un pensiero contraddittorio nelle sue stesse fondamenta; una filosofia, per di più, responsabile – ancorché indirettamente – di tutte le catastrofi che nel Novecento sono state compiute in suo nome. Sul versante opposto, conferendo alla speranza lo statuto ontologico di principio che permea l’universo oltre che di stato d’animo che da sempre sospinge l’uomo, Bloch scorge in Marx il filosofo supremo, quello che ha fatto della speranza la base della teoria e soprattutto della prassi, ereditando le universali speranze umane e convogliandole in un’unica «dotta speranza» consapevole delle proprie possibilità; un filosofo che il Novecento non ha fatto altro che travisare in sempre nuovi fraintendimenti e trasfigurazioni. Nel capitolo che segue la presentazione del lavoro e del tema della speranza negli scritti marxiani, è analizzato il modo in cui Löwith declina il tema della speranza, caratterizzandola come la disposizione propria del credente fiducioso in un remoto futuro che sfugge alla presa della ragione filosofica: il capitolo è significativamente intitolato «filosofia o speranza», a sottolineare come per Löwith la scelta dell’una comporti fisiologicamente l’abbandono dell’altra. Nel successivo capitolo, è stato invece preso in esame il tema della speranza in Bloch, tema che costituisce il cuore della sua filosofia e che egli fonda su basi ontologiche. Il titolo, «filosofia e speranza», rende bene l’idea blochiana secondo cui, solo dove c’è speranza, c’è filosofia in senso autentico. Le due componenti, che in Löwith si elidevano mutuamente, in Bloch sono coessenziali. Nel capitolo seguente, intitolato «Bloch e Löwith di fronte a Marx», è esaminato il rapporto che i due pensatori intrattengono con Marx alla luce dei sistemi che sono venuti elaborando: il capitolo è suddiviso in quattro sottocapitoli; nei primi tre («storia di un incontro», «due percorsi inversi» e «con Marx, contro Marx») sono ripercorsi i diversi modi in cui i due pensatori si accostano a Marx e ne leggono il pensiero nelle loro opere; nel quarto («il socialismo reale») è preso in considerazione il modo opposto in cui i due autori rispondono alla vexata quaestio della responsabilità di Marx per le tragedie che hanno costellato il Novecento. Infine, nella conclusione, vengono svolte alcune considerazioni generali di filosofia della storia: la domanda che fa da stella polare a quest’ultimo capitolo è se al tramonto della pur contraddittoria esperienza sovietica abbia fatto seguito una generale eclisse della «speranza sociale».

(M.M.)