Questa era la breve introduzione a un saggio che avevo cominciato a scrivere una sera di qualche mese fa e che poi ho interrotto.
ESTETICA CRITICA
Introduzione
Scrivo questo breve saggio per esporre le prime bozze di una dottrina estetica in linea con un progetto di critica sociale ben articolato ma impraticabile. L’umanità è un libro aperto, e i caratteri di questo libro non possono essere modificati, se non con l’intervento di un fattore esterno, per esempio una biro, guidato da un fantomatico medico della società. Un medico autodefinitosi tale, privo di un apposito titolo di studio. Con la biro costui potrà trasformare una a in una o, ma la natura primigenia del carattere non cambierà. La a resterà una a, in barba al suo sguardo compiaciuto. Fuor di metafora, i miei scritti sono votati al fallibilismo, sono mero combustibile intellettuale da bruciare per riscaldare l’attuale ordine sociale, proiezione fedele della nostra natura animalesca, che è immutabile e incontrovertibile. Una natura inquinata da un rapporto conflittuale permanente tra l’istinto e la ragione, e su cui si incardina il pluralismo, che assesta alla ragione il colpo mortale. Questa infatti, dopo aver attraversato e superato a fatica la selva degli istinti, finisce con l’essere fagocitata dal suo figlio più ribelle.
E come ci si dovrebbe muovere allora? Tu stesso fai intendere l’impossibilità di concretizzazione delle tue istanze critiche razionali, che cadono vittima del fuoco incrociato di istinti e pluralismo; che fare dunque? Io spedisco la missiva, e chi vuol leggerla la legga. Mi prepongo di consegnare al maggior numero di persone possibile il seme del dubbio, dopodiché non posso far altro che sperare in un suo interramento. La consapevolezza della possibilità del molteplice e della legittimità del lavoro teorico trasformativo con cui avvolgere e nutrire la prassi sono due requisiti necessari per progettare l’alternativo, che resterà sulla carta o si concretizzerà insieme a storture di vario genere, che inficeranno il risultato. È altresì vero che tutti i nostri giudizi di valore sono parziali, arbitrari, motivati da convinzioni personali che non possono essere universalizzate. Non c’è giudizio di valore che non possa essere contestato: tra i medici della società serpeggia il disaccordo.
Il filosofo, cioè il prigioniero più riottoso di una società che appare ai suoi occhi come un carcere, coadiuvato dalle puntuali disillusioni in cui inciampa durante il suo cammino teoretico, propende infine per guardare in faccia la realtà: si “ritira” così dal mondo, ovvero matura una disposizione d’animo tale per cui decide di spogliarsi delle insanabili contraddizioni che nel corso della sua attività si è caricato appresso. E sospende il giudizio. Dal seme del dubbio che ha celermente interrato è nata una pianta mastodontica, di fronte alla quale egli cade in ginocchio, senza più essere in grado di rialzarsi. Ovvero i dubbi diventano numerosi e soffocanti a tal punto da impedire un qualsivoglia lavoro costruttivo, decostruttivo o distruttivo. Ecco rovesciata in poche righe la prospettiva di partenza: dall’esercizio della critica alla sospensione del giudizio. Ed ecco che il progetto di critica sociale viene sepolto tra libri e riviste, in attesa di una ventata di ottimismo che ridesti la speranza nel cambiamento. Una speranza che sarà destinata a spegnersi.