Rovisto in cantina. Devo fare una ricerca su un vecchio manuale di mia mamma, un librone di 600 pagine in puro bianco e nero anni ’70. Lo sfoglio, cercando di non respirare l’aroma di polvere, studio, sottolineature che impregna questo libro e tutti gli altri che ho ereditato. Cade una foto. La prendo in mano, amo frugare nei ricordi, anche se non sono i miei, soprattutto se non sono i miei. Un ragazzo, direi sui 21 anni, occhiali a goccia e barbetta da politicamente impegnato, a sinistra se dovessi indovinare, e la tipica aria di ragazzo che si gode la vita, quasi come un sedicenne ancora spensierato. Tipica foto da universitario post ’68, i colori seppia ne sono la conferma.
Guardandola meglio mi sembra di conoscere il soggetto. Ma certo! È Paolo, quel caro amico dei miei genitori! Ma che ci fa una sua foto nel manuale di filosofia? Questa va dritta in tasca, non posso indagare bene senza delle prove.
Mi tornano in mente i giorni del liceo, i giorni di quella spensieratezza che aveva Paolo nella foto, pur non essendo più un liceale. Era il periodo in cui inseguivo i sogni, sogni che non ho mai raggiunto. Sognavo di fare la ribelle, vestire con jeans rotti e magliette punk; sognavo di scendere in piazza e gridare per i miei diritti, magari inseguita da poliziotti e squadrata dagli anziani. Ripensandoci, sognavo le ribellioni studentesche, una lontana chimera nei giorni nostri. Aspettavo un ragazzo, un principe azzurro con maglietta del Che e armato di megafono. Volevo una compagnia con cui discutere di politica, di musica, di arte e non solo di moda o di pettegolezzi. Ma ero talmente impegnata a sognare ad aspettare che le cose succedessero che non è mai successo niente. Non ho mai avuto la compagnia alternativa, non ho mai fatto quei piccoli vandalismi dei giovani ribelli e il ragazzo Che-megafono non è mai arrivato. Ora, a 22 anni, mi rendo conto di aver sprecato l’adolescenza a cercare, o meglio a sognare, di essere il mio ideale di giovane senza mai esserlo veramente. E non me la prenderò mai abbastanza con me stessa per non aver fatto altro che desiderare con troppa speranza un futuro che, ora che è arrivato, non mi sembra così diverso dai 17 anni. Perché ho peccato di ignavia e di non so che altro, forse paura, forse indecisione, forse di mancanza di intraprendenza. E direi anche di mancanza di stimoli, non ho mai conosciuto bene qualcuno che avrei veramente ammirato e apprezzato, mi sono sempre limitata a osservare la gente da lontano aspirando a diventare loro amica e immaginando come sarebbe stata la mia vita insieme a loro.
Rivedendo Paolo mi si spezza il cuore pensando di aver sprecato quegli anni considerati da molti come i migliori; e pur non essendo ancora una donna di mezz’età, mi rendo conto che probabilmente non sarò mai ciò che mi immaginavo sarei diventata. Ho un ragazzo. Fuori corso che suona il basso in un gruppo di scoglionati a tempo perso, senza un lavoro e un ***** da fare da mattina a sera. Ma almeno stiamo bene e parliamo di tutto ciò che ci possa passare per la testa. Forse mi sarebbe bastato questo per non avere rimorsi e rimpianti arrivata a questo punto. Magari questo, e una foto di finta felicità da nascondere in un libro di qualcun altro.
E' nato tutto, qualche mese fa, da un'idea che avevo per un racconto breve. Poi si è trasformato tutto in uno sfogo immaginario sulla mia vita. Immaginario perchè è ambientato tutto in un futuro prossimo, ma non si discosta troppo dalla attuale considerazione che ho della mia vita. E' tutto solo spostato più in là di 5-6 anni.