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io sono di legno - giulia carcasi

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    Predefinito io sono di legno - giulia carcasi

    iulia Carcasi
    Io sono di legno

    “Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano.
    La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti.
    Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa.
    Io sono di legno”.


    Dopo l’esordio nel 2005 con Ma le stelle quante sono, Giulia Carcasi torna in libreria con un nuovo romanzo: Io sono di legno.
    Il primo romanzo parlava dei giovani e del loro modo di crescere, di diventare adulti, ognuno con il proprio bagaglio di paure ed insicurezze. Un romanzo positivo: niente esperienze di sesso estremo, niente relazioni conflittuali con i genitori , niente toni esasperati e drammatici. La semplice descrizione della vita normale di due ragazzi, Alice e Carlo, personaggi veri, idealisti e un po’ pazzi come tutti a quell’età. Un romanzo realistico, puro, dolce, romantico. Due storie. Un libro a due facce. A due voci. Per un solo amore.

    Anche questo secondo romanzo è un libro a due facce, dove la fine coincide con l'inizio. Una storia a due voci. Due, come i punti di vista che la raccontano. Da una parte quello di Mia, dall'altra quello di Giulia. Una madre e una figlia che non riescono a parlarsi, che si scrutano da lontano, immobilizzate nel loro "essere di legno". Due donne apparentemente sicure delle proprie scelte, così vicine eppure così distanti, così convinte che vivere secondo teoremi precisi sia l’unica soluzione per non far scalfire la corteccia del proprio io, che finiscono per non riuscire neanche a parlarsi.

    Mia scrive sul diario dei suoi sabati sera, una folla di locali e facce. Nessun nome. Nessun legame, perché non si può credere ai prìncipi e alle belle addormentate, ai "vissero per sempre felici e contenti". Giulia vive nel silenzio che l’ha sempre avvolta. Non riesce a parlare con sua figlia, non sa come fare. E allora legge il suo diario. A quel punto, però, l’ingranaggio si rompe. Giulia decide di rispondere alle parole di carta della figlia con altre parole di carta. Torna indietro con la memoria, racconta se stessa come non aveva mai avuto il coraggio di fare. Una vita ferita dall’egoismo e dalla prepotenza di una famiglia falsamente perbenista: una famiglia di matrioške, dove ogni donna conteneva l’altra, e lei, che era l’ultima arrivata, era solo la coda, quella che arrivava sempre per ultima, qualsiasi sforzo facesse, perché “anche se ti metti a correre arrivi sempre dopo il corpo”. Torna a riflettere sul suo crescere con spazi da riempire, quelli dei maglioni slargati che le passavano le sorelle. Ricorda il culto delle apparenze della madre, una donna fragile che credeva nella catena del bene, quella in cui l’anello sopra regge quello di sotto. Torna con la mente ai sabati pomeriggio passati con Suor Sofia, una giovane monaca peruviana curiosa dei balli e dell’amore, con i suoi capelli blu e gli occhi più neri del nero, l’unica amica della giovinezza. I primi passi da medico. Il matrimonio con un primario, il solo ad aver creduto in lei e averle fatto credere che quella fiducia potesse essere amore.

    Più la storia di Giulia si scopre, più affiorano segreti che hanno bisogno di essere svelati. L’incontro può avvenire solo accettando una verità difficile. Forse smettendo di scrivere. Forse iniziando a parlare. Perché “il legno è tosto, ma sotto l’acqua può ammorbidirsi”.



    Le prime pagine

    Questa storia comincia di domenica e non poteva cominciare in un altro giorno.
    La domenica per te è un avanzo di settimana, per me è una zingara che fruga tra scatoloni e panni usati, che cerca roba ancora buona in mezzo a quello che è stato buttato via.
    Credo che i migliori propositi si facciano di domenica.
    Credo che le guerre finiscano di domenica.
    Credo che Ulisse sia tornato di domenica, dopo il ballo delle onde, è tornato a casa come torni tu, dopo il ballo delle onde, ogni domenica.
    Per Penelope il suono del ritorno era il legno tosto di una zattera che si scontrava con la roccia del porto. E l'odore del ritorno era salsedine.
    Per una madre il suono del ritorno sono tre giri di chiave, uno scatto, la porta che apri e chiudi. E l'odore del ritorno non è salsedine, no, è un profumo maschile che ti si è impigliato nei capelli, un profumo che ogni settimana cambi.
    Vorrei incontrare quei colli schizzati di odori costosi, sapere che faccia hanno, come si chiamano, li conosco?, sapere come li baci, se hai del trasporto o se lo fai così, vorrei vedere come vai incontro a loro, se hai il passo deciso degli irresponsabili o se i tuoi piedi per un attimo si trattengono.
    T'immagino tutto il sabato sera, Mia. Immagino come diventi rossa quando un ragazzo ti chiede "come ti chiami?" e gli rispondi "fai tu. Giorgia, Sara, Chiara. Sono tutte le donne che vuoi" e sorridi, maliziosa come la mela che offre un morso.
    Immagino finché ti vedo arrivare: le scarpe col tacco in mano, la borsa che pende dal polso, il mascara scivolato sotto l'occhio, brillantini ovunque. Sei una donna di ieri, non di oggi: ti porti addosso la notte prima.
    È l'alba di una domenica dopo un sabato come tanti. Ti ha accompagnato a casa un ragazzo più grande di te, mi fa paura dire uomo, tu sei una bambina.
    "Prendi il caffè?"
    Fai cenno di sì con la testa.
    Mi stringo la vestaglia addosso e mando indietro uno sbadiglio. Devo farti capire che sei al sicuro, fidati, parlami, verso il caffè in due tazzine, anche se il caffè proprio non mi va, siedo con te, bevo, sorrido, così si fa, dicono gli esperti.
    "Dove sei stata?" ti chiedo, il tono costretto e calmo.
    "Che fai, indaghi?"
    "No, dicevo per dire."
    "E allora non dire."
    Cerco di farti una carezza, non sono una donna di gesti, sono una donna di brividi immobili, Mia, ci provo, tu però ti scansi subito.
    "Sei capace di un po' di amore?" ti chiedo.
    Tu mi guardi fisso negli occhi, dici "pensa a te" ed esci di nuovo.
    Penelope non riconosce Ulisse quando lo vede tornare.
    E io non riconosco te.
    Una madre non lo fa, dicono gli esperti.
    Non si leggono i diari, non ci s'infila nei pensieri dei figli.
    I ladri entrano dalla finestra. I ladri, non le madri.
    Una madre non lo fa, ripetono.
    Scusami, ma la tua bocca è chiusa, Mia. E come faccio a capirti se non ti scippo i pensieri dalla carta.
    Scusami, ma la tua porta è blindata, Mia. E come faccio a entrarti dentro se non passo dalla finestra.
    Una madre non lo fa, assicurano.
    Farò in fretta, un passo dopo che te ne sei andata, un passo prima che torni. Ti leggerò e mi scriverò.
    Una madre non lo fa, io sì.

    che ne pensate? a me ispira molto e infatti lo devo andare a comprare...e poi il suo primo libro "ma le stelle quante sono" mi è piaciuto un sacco...
    speriamo ke qst sia all altezza dell altro!

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