Evan Danielson è un mago della finanza, il prototipo del lavoratore di successo. Elegante, ambizioso, separato, si occupa della figlia Olivia quando può. Alla vigilia della promozione tanto attesa, nel bel mezzo di una lotta all'ultimo neurone con il collega e rivale Whitefeather, Evan si ritrova a doversi occupare di Olivia, sette anni e un'unica inseparabile amica: una copertina viola. Spazientito, farebbe volentieri a meno del fardello, almeno fino a quando non comincia a credere che la copertina detenga dei poteri magici e possa essergli estremamente utile nella strada per il salto di carriera. Immagina che ruota prevedibilmente attorno al concetto che è necessario tornare come bambini per vedere con occhi nuovi ciò che non siamo più in grado di vedere con le lenti opacizzate degli adulti. Nonostante soffra di una senescenza precoce, che nulla ha a che vedere con la piacevole demenza di Eddie Murphy, qui iper controllata, ma se mai con una scrittura lineare, che non pare aver mai attraversato una fase di divertimento autentico, il film illumina una territorio interessante. È evidente che la “coperta di Linus” è il problema del maschio adulto del film e non della piccoletta. Incapace di astrarsi da un narcisismo patologico, Evan carica di valenze affettive e poteri rasserenanti un oggetto, sostituendo e scavalcando inconsciamente il vero soggetto della sua potenziale soddisfazione, la figlia stessa, e trasformando velocemente il gioco in feticcio e le principesse della fantasia in fantasmi. Com'è naturale, non ci si spinge mai oltre la risata a denti stretti: l'universo cinematografico di riferimento è la commedia per famiglie a sfondo dichiaratamente pedagogico e ha confini inderogabili. Eppure il marchio di fabbrica di Eddie Murphy, la sua risata deformata, appare con meno insistenza e tutto fa pensare che l'attore condivida col personaggio un momento di transizione professionale.
Nonostante di copriletti si conversi, il film non (si) scalda mai abbastanza. Murphy non riesce nell'impresa in cui trionfò Jim Carrey, che da solo travolse e infiammò, in Bugiardo Bugiardo, una storiella di poche cartucce. Kirkpatrick, che fino ad ora ha dato il meglio di sé nella scrittura per il cinema di animazione, maneggia con minor piacere e sicurezza la carne e le ossa. Il suo protagonista sa ballare e cantare e quasi non lo fa; si favella di un mondo immaginario, di streghe, maghi e principesse, ma non ci si prende il tempo di coltivare una storia al suo interno. Il padre del film è un padre distratto, ma il regista non è da meno.