Posso sconsigliarvi un film?
Decisamente pretenzioso, non mi è piaciuto proprio!
- Da "la cartella 'recensioni' nel mio piccì" -
Arriva anche nelle sale italiane Mein Fuhrer, il cui sottotitolo che disperatamente richiama l’idea di commedia è “la veramente vera verita su Adolf Hitler”.
Ridondanza dei termini a parte però, il film di commedia ha ben poco se intendiamo l’accezione propria del termine; il finale è tragico, la satira è assente e l’umorismo è forse troppo ebraico, visto che sempre più spesso per “ebraico” si intende ormai quell’umorismo che non fa ridere.
Il regista è Dani Levy, l’autore di quel film simpatico e di successo che fù Zucker.
Ora lo Svizzero ci riprova, dice che questo film è il suo modo “per vendicarsi di Hitler”, nella pellicola lo umilia facendolo montare da un pastore tedesco, lo dileggia, lo fa apparire ridicolo, in finale, lo rende simpatico.
E’ questo il grosso problema di Mein Fuhrer; la satira, l’ironia, con l’impersonalità, con il paradossale e il grottesco, portano l’obbiettivo dei propri attacchi a cadere nel ridicolo, divertendo chi guarda, non lo additano semplicemente come “ridicolo”. No, cosi si trasforma solo il bersaglio in vittima, la satira è altro, è un viaggio in cui va condotto lo spettatore.
Passando alla trama pura, ci ritroviamo nella Berlino del ’44, periodo di Natale, le bombe fioccano al posto della neve e il Fuhrer ha il dovere di rincuorare il popolo tedesco tenendo un discorso durante una manifestazione di forza(ormai persa) da tenersi l’ultimo dell’anno.
Ma Hitler è depresso, e allora si chiama il suo ex-maestro di recitazione ebreo(il Fuhrer ebbe davvero un maestro di recitazione ebreo; “citazionismo storico”, da aggiungere a “umorismo ebraico” nelle caratteristiche del film) per aiutarlo a redigere il discorso e studiarne l’interpretazione.
Adolf Grumbaum(interpretato da Ulrich Muhe, scomparso di recente) accetta l’incarico in cambio del rilascio della propria famiglia dal lager, instaura un rapporto con il Fuhrer, e via al concatenamento di eventi che dovrebbero scaturire le agognate risate “amare”.
Levy dice di essersi ispirato a quel “la vita è bella” di Benigni che tanto lo disgustò durante la sua prima visione(ma poi, in seguito, dice di averlo compreso e apprezzato), strizza l’occhio, perché no, è inevitabile, al “grande dittatore” di Chaplin, anche se afferma di essere interessato non tanto al lato infantile di Hitler quanto alla sua psicologia, insomma, lo svizzero si fa proprio pedagogo quando chiosa dicendo che questo film deve servire da monito, bisogna <<Evitare di trasformare il nazismo in una cosa mostruosa, un orrore anonimo. Senza vedere l'intelligenza che c'era dietro>>(cit. fonte – La Repubblica), che poi è quello che cercano di fare, prima o poi, tutti i “comici ebraici”, suscitando ogni volta le critiche più aspre da parte della loro stessa comunità; ma loro si sa, basta un accenno di antisemitismo, e giu a scriver lettere(cit. Scoop- Woody Allen), citando un personaggio, che in quanto a comicità, realmente si distingue.