Invenzioni che cambiano la vita: Suko e Suka Brusket
Suko (1801 – 1851) era un ragazzo triste che viveva in una delle regioni più povere della Russia Orientale. Questa regione era talmente povera che il sindaco (Ivan Domotrev 1745 – 1804) dovette cederne i diritti del nome. Tant’é che ancora oggi pronunciarla è ritenuto reato, punibile con 5700 rubli di multa e la sospensione della patente per 3 mesi. Il sindaco inoltre, per cercare di risollevare le sorti di un paesino ormai giunto alla miseria totale, decise di vendere il nome anche di quello. Questo è pronunciabile in quanto la multa è di soli 150 rubli e nessuna sanzione penale aggiuntiva. Quindi lo diremo: Fraskati.
A Fraskati il giovane Suko viveva con suo nonno Igor e la sorella Suka (1801 – 1862). Suko e Suka erano nomi che proprio il nonno aveva dato loro dopo la tragica morte dei due poveri genitori. Le cause della morte rimangono ancora oscure, ma si pensa che la motivazione più plausibile sia stata quella dell’annegamento. I due cadaveri infatti vennero ritrovati in mezzo ad un bosco (di cui si sono venduti i diritti del nome) con i capelli bagnati.
Suko e Suka cominciarono così fin dalla tenera età di 5 anni a lavorare nei campi. Suko era l’orgoglio di nonno Ivan. Aveva raggiunto una certa dimestichezza con l’aratro ed aveva preso confidenza con il bue. Suka invece era molto più portata per i lavoretti manuali. Gemella (si crede) di Suko, anch’ella a 5 anni aveva già costruito un abajour in legno (che sarebbe andato a fuoco come testimoniano gli storici) e stava lavorando ad un elementare sistema a 4 ruote motrici integrali sul carro di nonno Ivan. (in seguito lo stesso sistema sarà adottato dalla Lancia Delta 4WD)
Gli anni passarono in fretta ed anche nonno Ivan cominciò a dare le prime avvisaglie di quella che sarebbe presto stata la sua fine, anche se la vera causa rimane ancora misteriosa. Era costretto a rimanere seduto davanti al caldo camino che scaldava a stento l’umile dimora dove risiedeva assieme ai nipoti Suko e Suka, mentre questi lottavano come leoni giorno dopo giorno il freddo inverno russo e dove crescevano sempre più forti e robusti. (Avevano anche un cane, Mattiash, che però morì soffocato tra le ruote del carro a pochi mesi di vita. Questo colpì molto Suko, che per un periodo pensò di andare a Mosca a fare il ballerino di danza classica)
Qualche storico avrebbe riportato negli anni seguenti che Suka, commossa, avrebbe detto al fratello di provare una certa pena per il nonno inerme davanti al camino ed avrebbe suggerito di eliminarlo con del veleno. Suko non sembrava entusiasta dell’idea, in particolar modo era contrariato a quanto avrebbe dovuto fare in seguito, ossia occultare il cadavere nel bosco e continuare a ritirare i 5 rubli di pensione di guerra che annualmente il povero vecchio percepiva dal governo russo.
Così grazie a Suko il nonno rimase li ancora qualche anno.
Suka cresceva e nell’età adolescenziale aveva già avuto qualche esperienza sessuale con qualche ragazzino del paese. Ogni domenica, dopo la funzione religiosa, si appartava con l’allora poco più che tredicenne Dimitrj Skull (in seguito morto per cause sconosciute) e si divertiva a scoprirne le parti del corpo che solo in qualche occasione aveva dovuto toccare al nonno. Furono però presto scoperti e banditi dalla funzione religiosa. Le conseguenze furono devastanti: Dimitrj fu mandato in Siberia per 8 anni dove in seguito sarebbe morto (gli storici sostengono che fosse anche senza guanti) mentre Suka si rinchiuse in casa per qualche mese.
Il nonno poco dopo morì.
Egli lasciò i suoi averi ai due cari nipotini che rimasero increduli una volta letto il testamento del povero e generoso vecchio. Suko si ritrovò proprietario dell’aratro. Suka del carro. La casa, il bue, due forconi ed un rastrello erano stati ipotecati. Nonno Ivan infatti negli anni aveva accumulato diversi debiti di gioco. Suko in cuor suo aveva perdonato il nonno, mentre Suka rimaneva dell’idea che se l’avessero eliminato per tempo almeno le forche non sarebbero state ipotecate.
I due, soli, senza speranza e con un altro gelido inverno alle soglie decisero che era ora di cambiare vita.
Suka all’età di 17 anni si trasferì dapprima nel paesello, ma ci rimase per pochi mesi. Conobbe infatti un italiano (tale Vincenzo Scocciamurro di Catania) che se ne innamorò perdutamente, la sposò e la portò in Italia. Suka non si adattò mai alle dure regole siciliane, ma ricordando la sua provenienza non si mosse mai dall’isola. Ella però rimaneva sempre chiusa in casa e piangeva.
Vincenzo, costretto a lavorare, quando incontrava nei bar gli amici si sentiva ripetere la solita frase “Ma Suka?”. Questa entrò a far parte della dialettica siciliana, semplificandosi con il passare degli anni in “Suka!”. (che fu nuovamente modificata col passare del tempo con l’arrivo di un’altra giovane lituana, Ana Staminkius)
Cosa ci facesse Vincenzo Scocciamurro nel paesello russo rimane ancor oggi un mistero.
Suko, partito anche lui nello stesso periodo della sorella, dapprima approdò nei balcani dove lavorò per un breve periodo come barista. Le sue mani tozze e rovinate dalle intemperie e dal duro lavoro nei campi non gli permettevano di usare coltello e spremiagrumi e così, involontariamente, diede luce ad una prima invenzione di cui ancora oggi facciamo largo uso. Il succo di frutta. Gli avventori del locale infatti avevano preso buona abitudine di bere delle spremute d’arancia preparate dalle mani del giovane. Così ogni volta che lo vedevano dietro al bar ne usciva l’esclamazione: “ehi, Suko, grazie!” (traduzione dal serbo a cura di Damjan Krkvarje gentilmente concessa dalla casa editrice Zerna)
Ma presto Suko abbandonò il suo lavoro nel bar. Si dice a causa di un avventore molto pignolo che notò nel bicchiere del succo d’arancio dei pezzettini che non erano parte del frutto, ma bensì parti di pelle delle mani scalfite del barista. Minacciò denuncie alla Codakonvic (Codacons serba) ma tutto finì con il licenziamento del povero giovane.
Sfiduciato, Suko, che ogni mese spediva una lettera alla sorella nel quale scriveva che era approdato nel mondo dorato di Broadway e che presto si sarebbe sposato con Marylin Monroe non sapendo di scatenare in lei crisi epilettiche ed attacchi isterici (usava un nome fittizio in quanto Marylin doveva ancora nascere), si mise disperatamente in viaggio verso l’Italia.
Si fermò per qualche giorno sul confine, a Gorizia, ma scoprì che a confronto il paesino russo da dove era scappato era Las Vegas.
Proseguì allora il viaggio, accorgendosi di città in città che tutta la gente andava matta per una nuova bevanda, chiamata succo. Ma l’occasione della vita gli era ormai sfuggita.
Approdato in Toscana, quando ormai le sue speranze erano terminate e la morsa della fame attanagliava il suo grande stomaco, venne accolto nella casa di due contadini (gli storici pensano siano stati Leopoldo Garzoni e Marietta Arcioni) che gli offrirono un posto da manovale.
Si dice anche che, proprio durante una loro umile cena, Suko, deluso dalla vita, si ribellò ai due contadini e con un segno di stizza buttò in aria il tavolo con il poco cibo che questo offriva. Del pane, dell’olio e del pomodoro.
La discussione si era fatta violenta e Suko, ormai senza controllo, in preda ad una furia accecante, con uno spintone scaraventò a terra il povero contadino Leopoldo, che battè la testa e morì.
La moglie Marietta, tra le urla disperate di Suko e gli ultimi lamenti di Leopoldo, si accasciò al suolo per soccorerlo e proprio allora fece una scoperta sensazionale: il cibo era finito sul fuoco mischiandosi. Il pane abbrustolito aveva un profumo delizioso, le goccie d’olio che casualmente erano finite su di esso lo rendevano ancor più appetibile ed anche il pomodoro dava un tocco di freschezza. Cadendo per terra inoltre, queste fette di pane farcite si erano ricoperte di granelli di terra, residui delle scarpe dei contadini. Una bontà, pensò Marietta. (in seguito la terra verrà sostituita con dell’origano)
Suko aveva fatto un’altra invenzione. Marietta rincuorò il giovane, dicendo che la fine era dietro l’angolo per tutti, certe cose potevano capitare e di non preoccuparsi per la morte di Leopoldo, ma invece invenzioni simili erano stupefacenti. Bisognava trovare un nome. Suko spiegò che non potevano certo chiamare “Suko” anche questa invenzione, avrebbe creato confusione tra i cittadini. Allora Marietta ebbe un’idea brillante. Avrebbero usato il cognome di Suko: Brusket. Il russo era grato alla signora Arcioni e decise di renderle omaggio nell’unico modo in cui avrebbe potuto, ossia condividendo con lei la scoperta. La chiamarono così Brusket più una parte del nome di Marietta, perchè in parte anche lei era artecife di questa sensazionale scoperta che avrebbe cambiato le abitudini alimentari di migliaia di persone. Era nata la Brusketta. Suko e la donna non vennero incriminati perché Marietta disse alla polizia che il marito era scivolato nella doccia ed aveva battuto fatalmente la testa (solo alcuni decenni dopo grazie alle avanzate tecniche della polizia scientifica si scoprì che in casa non erano presenti ne bagno ne doccia) ma evitare la galera fu una magra consolazione. Infatti, proprio il giorno prima dell’approvazione del brevetto “Brusketta” i due morirono asfissiati dalla stufa a gas a causa di un tubo otturato. Qualcuno pensa sia stata la maledizione del povero Leopoldo, in quanto era lui che abitualmente si occupava della pulizia della stufa. Queste sono le storie di due ragazzi prodigi, Suko e Suka, cui la sorte ha cinicamente voltato le spalle, ma cui lascia a disposizione dei loro fortunati successori, delle invenzioni geniali e rocambolesche.