Ogliastra, la tratta dell'orrore: il prezzo di un bimbo 50 euro
E' il prezzo che emerge da una frase che una connazionale urla per telefono alla donna arrestata all'alba di martedì dai carabinieri di Lanusei nell'ambito dell'inchiesta su un presunto traffico di bambini con il nordafrica. Accertamenti anche su un funzionario dell'ambasciata italiana a Rabat
Avrebbe già portato in Sardegna altri bambini, se solo avesse saputo che, in Marocco, procurarli era così facile, grazie a una venditrice molto disponibile.
Il prezzo? «Lo sai che lo hai comprato per cinquanta euro». È la frase, agghiacciante, che una connazionale in lacrime urla per telefono a Omu el Kahir Aniba, 46 anni (per i familiari Khira) arrestata all'alba di martedì dai carabinieri di Lanusei. La donna - questa la ricostruzione del pm Rossella Spano - sarebbe la vera madre del neonato che Khira ha portato in Italia sostenendo che fosse suo figlio. Per comprare il piccolo, dunque, sarebbe bastata una volgarissima banconota, anche se nelle trattative condotte in Marocco per un orrendo mercato di bimbi, il tariffario oscillava di parecchio. E, se i sospetti saranno confermati, coinvolgerebbe anche l'ambasciata italiana dove un funzionario è sotto indagine per aver concesso troppo facilmente il visto d'ingresso al neonato. Nato in casa e non in clinica come si voleva far credere grazie alla ipotizzata complicità di un medico.
Ulteriori conferme del baratto di bimbi in fasce? Una nordafricana, intercettata, chiede a un'altra se è vero che Khira ha preso un milione (verosimilmente s'intendono mille euro, osserva il pm) per comperare il bambino. Prezzi stracciati in confronto al valore aggiunto che poi sarebbe maturato nell'Isola, dove il commercio di immigrati clandestini avrebbe fruttato somme fino a diecimila euro.
La ricostruzione della Procura è agghiacciante. E getta ombre sinistre anche sulla figura di Peppino Murgia, 74 anni, originario di Osini ma residente a Tortolì. L'undici ottobre dell'anno scorso Omu Aniba torna in Italia dopo una breve permanenza in Marocco dove ha soggiornato per un breve periodo proprio in compagnia del pensionato di Osini. Al loro rientro in Italia di due portano con loro il neonato, appena un mese di vita. All'arrivo, in una telefonata, la sorella Fathia la informa che ha già comunicato il lieto evento a connazionali che risiedono a Gairo. La messinscena sulla maternità, in parte è già servita. Agli altri marocchini che chiedono come mai la donna non abbia scelto di partorire in Italia, Fathia Aniba risponde che sua sorella avrebbe preferito farsi assistere da un medico in Marocco e che il bimbo sarebbe nato settemino. Per rendere tutto più credibile, Fathia suggerisca a Omu di confermare questa circostanza. In modo tale da non innescare troppa curiosità su un pancione che non c'era, circostanza che affiora da un'altra telefonata e spiazza persino il fratello della sedicente mamma. Ovviamente anche ad Hassan Aniba viene chiesto di confermare questa versione dei fatti. Lui dà garanzie.
La tratta dei bambini - sempre stando alla ricostruzione del pm Spano - sembra interessare molto le extracomunitarie. Tanto che, sempre nella stessa giornata, le due sorelle si sentono ancora per telefono. Fatiha richiama Khira e si lamenta dell'occasione persa. Si rammarica di non averle consigliato di portare una bambina e la frase, al proposito, è da brividi: «Avremmo fatto grossi affari e poi ne avremmo portato anche altri». Altrettanto agghiacciante è la replica di Khira, che se avesse saputo che procurare bambini era così facile ne avrebbe portato anche altri, anche se Peppino Murgia, dice la donna, non era molto d'accordo.
Concordata la linea per simulare la maternità, la massima preoccupazione di Khira è quella di registrare il suo bambino all'anagrafe, «così me lo prendono all'asilo». A questo punto cominciano i sospetti. Un funzionario del Comune di Tortolì, sentito dagli investigatori, riferisce che all'ennesima insistenza di Peppino Murgia e Khira Aniba, ha telefonato all'ambasciata italiana a Rabat. L'impiegato all'altro capo del filo ha un sussulto quando sente parlare di Khira Aniba. Dice di aver ricevuto una lettera dai carabinieri e di aver sospeso la pratica perché il collega (dunque un altro dipendente dell'Ambasciata) che aveva rilasciato il visto per il bambino era sotto indagine.
http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/138070]Fonte[/url]
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St'articolo è pessimo, ma vabbè.
Dal titolo credevo fosse chissà cosa.
In realtà una donna marocchina ha venduto per 50 euro suo figlio ad un'altra donna.
Questa si è recata all'anagrafe per registrarlo e lì qualcosa non è andato.
E si è scoperto l' ORRORE.
Io non ci vedo nioente di orribile.
Se una madre non può mantenere un figlio e le vengono offerti dei soldi per 'venderlo', dove sta il problema?
Altre madri che non possono/vogliono mantenere un figlio lo affidano ai servizi sociali.
E questi sappiamo come funzionano.
Se funzionassero meglio, probabilmente alcune coppie non dovrebbero arrivare a 'comprare illegalmente' un bambino.
Per altro le adozioni internazionali legali costano un botto.
Perchè una madre non si pu ò pagare e le istituzioni invece sì?
Lo scopo è lo stesso, no?