Pakistan, un patto tra clan rivali per la consegna di 15 spose bambine
Il prezzo per la fine di una sanguinosa faida con 19 morti
Un cane appartenente alla tribù dei Chakranis viene ucciso a fucilate dal clan rivale dei Qalandaris perché se ne sta accucciato troppo vicino al loro pozzo. Siamo nel Balucistan, una delle province più selvagge delle cosiddette «regioni tribali» pakistane al confine con l'Afghanistan, nel cuore profondo della «pashtunland ». Qui da sempre vale la legge del taglione, l'occhio per occhio sostituisce immancabilmente l'assenza dello Stato. E infatti i Chakranis non ci pensano sopra due volte: qualcuno dei loro giovani imbraccia a sua volta l'arma e la scarica a bruciapelo contro un asinello dei Qalandaris. Basta poco per innescare la faida, dagli animali si passa subito agli uomini. In pochi mesi la somma dei morti delle due parti arriva a 19, tra cui 5 donne. E sarebbe andata avanti così, vittima dopo vittima, se verso la fine del 2002 non fosse intervenuto un notabile riverito in tutta l'area come Nawab Khan Bugti (più tardi ucciso dall'esercito pakistano che, con il sostegno Usa, da queste parti dà la caccia a chi fornisce rifugio ai talebani) per pacificare la tensione con il sistema più antico che offre la tradizione tribale: la consegna di un numero di bambine destinate in sposa agli uomini, spesso già avanti negli anni, del clan rivale.
Chi deve dare, e a chi? Una volta intesi sul principio della mediazione, è la jirga (il consiglio degli anziani) che riunisce i notabili delle due parti sotto un leader autorevole e stabilisce il verdetto. Così, prima della sua morte, Nawab Khan Bugti sentenziò che i Chakranis (che oltretutto sono legati al clan più importante dei Bugti) avrebbero dovuto consegnare ben 15 bambine ai Qalandaris. Ci sono voluti poi oltre 5 anni per circostanziare il «prezzo». Sembra tra l'altro siano state pagate anche alcune somme di denaro alle famiglie delle vittime. E venerdì scorso infine i termini dell'accordo sono stati resi noti: la tregua del dicembre 2002 diventerà presto pace. Nulla di strano, sono pratiche ben diffuse tra Afghanistan e Pakistan, da Kandahar a Karachi. Se non fosse che in questo caso la notizia è stata pubblicata sui media di Peshawar e rilanciata dalle organizzazioni della società civile pakistana, che negli ultimi anni si sono fatte sempre più aggressive.
«Barbarie in nome della tradizione, molti settori della nostra società sono dominati dal Medioevo », accusava a inizio settimana l'editoriale del quotidiano nazionale in lingua inglese Dawn.
«Ho subito contattato le autorità del Balucistan, sono anche riuscita a parlare con il padre di tre bambine che dovranno essere consegnate ad altrettanti mariti, i quali facilmente hanno ben più di cinquant'anni. Mi ha detto che le sue figlie hanno meno di dieci anni, la più piccola è nata solo tre giorni fa», ci spiega per telefono da Islamabad Samar Minallah, direttrice di Swara, l'organizzazione da lei fondata nel 2003 con l'obbiettivo preciso di salvare le piccole vergini promesse in pegno. «Ma ho trovato il muro di gomma. Persino a Islamabad le autorità ci fanno tante promesse, senza mantenerne neppure una. La polizia del Balucistan mi dice che il caso rientra nella giurisdizione del Sindh. E qui mi rimandano al Balucistan », aggiunge. Il nuovo ministro dell'Informazione, la combattiva Sherry Rachman del Partito Popolare, che fu tra l'altro portavoce di Benazir Bhutto, promette che i «trafficanti di bambine verranno arrestati». Eppure anche Asma Jahanagir, nota attivista per la difesa dei diritti umani, denuncia «la vuota retorica del governo».
«In effetti, le autorità locali fanno il bello ed il cattivo tempo. Non obbediscono allo Stato centrale, specie quando si tratta di scegliere tra la coesistenza con i potenti capi clan nelle zone dove governano e invece le direttive che arrivano da Islamabad», aggiunge. «La verità è che siamo nel mezzo di una vera crisi di governo. Il patto tra il Partito Popolare guidato dal vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, e la Lega Islamica di Nawaz Sharif non tiene. E nessuno ha il coraggio di sfidare apertamente i leader tribali», aggiunge scoraggiata la Minallah.
Fu lei a denunciare con forza nel 2002 la tradizione che in lingua pashtun è chiamata appunto Swara,
letteralmente: «partire in groppa all'asino », così come la bambine venivano consegnate ai «promessi sposi » del clan rivale. Nata a Peshawar da una famiglia facoltosa, ha potuto studiare a Londra, il fratello è quello stesso Athar Minallah che nel 2007 ha condotto le manifestazioni degli avvocati in difesa del presidente dell'Alta Corte di Giustizia, Iftikhar Chaudry: uno dei primi giudici che accettò di intervenire in difesa delle «bambine-mogli». Così Samar nascose una telecamera portatile sotto il burqa e iniziò a visitare i villaggi delle province più remote del Pakistan. Parlò con le famiglie delle bambine, incontrò i leader delle assemblee degli anziani. Il suo film è stato più volte premiato alle Nazioni Unite e in diversi festival. «Scoprii allora che quest'usanza assolutamente barbara, inumana, era ben nota per esempio anche nel Punjab, dove viene chiamata "Vanni", che può essere tradotta come "prendere la bambina per il polso". Nel Balucistan la chiamano invece "Erjaii": data in compenso». In 5 anni di attività ha documentato e denunciato i casi di una sessantina di bambine-vittime, quasi tutte sotto i 10 anni di età.
«Dal gennaio 2008 ne abbiamo individuate almeno 13. Ma sappiamo che il loro numero reale è molto più alto. Spesso è difficile capire il fenomeno, poiché i matrimoni combinati dalle famiglie in questa parte del mondo sono la regola».(corriere)
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e voi che ne pensate?
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